Giorgio Conte

Giorgio Conte, cantautore, musicista e compositore, ha rilasciato un’intervista al Corriere parlando della carriera e del difficile rapporto con il fratello Paolo. L’artista sarà ospite domenica 8 settembre del Barbera D’Asti wine festival.

“Papà amava la musica, suonava il piano, però restava sempre un austero uomo di numeri: le sue ferie erano “notarili” e forse è proprio da qui che viene quella speciale “allergia” alle vacanze che torna spesso nelle canzoni di Paolo, una sorta di “festa da subire più che da vivere”. Io no, io sono stato e sono diverso. A me piaceva andare in spiaggia, suonare la chitarra, baciare le ragazze, mangiare e bere. Chissà, forse è stato proprio perché mi sono ritrovato stretto tra le formalità della mia famiglia e l’estro più spinto di mio fratello che, per anni, ho temuto il palcoscenico. La nostra è stata una classica famiglia di notai: bisnonno, nonno, padre. Io ci provai a fare il notaio, ma niente da fare. Paolo nemmeno tentò l’esame, ma sai com’è, lui era già pronto per diventare Paolo Conte. Io ripiegai nell’avvocatura.”

Spiega Giorgio Conte parlando della sua famiglia.

“Non sono stato di certo un avvocato entusiasta, anche se sono stato un legale corretto, almeno questo mi hanno più volte detto i miei avversari. Ma la verità è che non avevo il coraggio di dire chiaro e tondo in famiglia “voglio fare l’artista a tempo pieno”, perché sapevo già che mi avrebbero rivolto uno sguardo pieno di disapprovazione, se non di disprezzo. E poi in famiglia di artista ce n’era già uno: Paolo ha quattro anni più di me, che ne ho ottantatré.”

L’artista parla della difficoltà di essere il fratello di Paolo Conte.

“Qualunque cosa decidessi di fare, dal firmare una canzone a un concerto, c’era sempre chi ci vedeva un “artista al traino”. Ma non è stato così, anzi. Ci sono stati momenti difficili, però non mi sono mai perso d’animo. […] Oggi abbiamo due pubblici parecchio differenti tra di loro. Io sono amato in Francia, Germania e Canada, c’è anche chi rivede in me una vena alla Brassens, però io sono uno di campagna, uno che ama la Barbera e che coltiva le pesche, uno che si interessa dell’orto e che sa riconoscere un terreno sabbioso e poco adatto agli asparagi.”

Un ricordo, poi, degli incontri con Mina e Ornella Vanoni.

“Mina l’ho conosciuta tramite un’amica in comune. Quando andai a trovarla a Lugano la feci ridere tanto, perché facevo la sua imitazione, con una pronuncia cantilenante. Poi nell’album Uiallalla mise due mie canzoni, Il plaid e T.I.R. […] Ornella Vanoni è una donna simpaticissima, potrei dire un’amica. Una volta, quando ero molto più giovane, mi convocò a casa sua. Ora, noi persone di campagna siamo usi a portare sempre un dono quando ci presentiamo a casa d’altri. La mamma mi suggerì di portare un cestino con quelle squisitezze che facciamo qui nell’Astigiano, che so il cacciatorino o il vino. Così mi presentai puntualissimo con il mio dono bene impacchettato. Ma rimasi senza parole quando Ornella venne ad aprirmi vestita solo dell’accappatoio. Immediatamente mi tornò in mente che lei, sotto il biliardo, ha un letto estraibile e feci cattivi pensieri, ma le sue parole, secche, mi riportarono con i piedi per terra: “Ragazzo, guarda che l’appuntamento era domani, mica oggi”.”

Infine l’ammissione del difficile rapporto con il fratello Paolo.

“Non ci sentiamo tanto, anzi, lo facciamo abbastanza raramente. Non che ci siano stati contrasti, anzi. Ma semplicemente capita che persone che si sono amate molto poi si allontanino. Forse perché siamo tanto diversi, forse perché la vita ha voluto così. Ma c’è il passaggio di un libro di Carlo Sgorlon che recita: “Gli assenti prima o poi spariscono”. E oggi, ogni tanto, mi viene da pensare: chissà se per Paolo io sono sparito.”

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