Abbiamo incontrato il chitarrista turnista, compositore, musicista polistrumentista, scrittore e giornalista Carlo Zannetti per un’interessante intervista.
Intervista a Carlo Zannetti
Come definisci oggi la tua musica?
La mia musica appartiene ad un mondo ormai lontano, ed è legata al periodo culturale che ho vissuto negli anni ’70 e ’80, per cui parliamo di molti anni fa. In quel periodo brillavano i grandi cantautori tipo Francesco Guccini, Claudio Lolli, Claudio Rocchi, Eugenio Finardi, Lucio Dalla solo per nominarne alcuni.
Artisti eccelsi, che io ho avuto modo di conoscere personalmente e che mi hanno affascinato moltissimo, perché davano una grande importanza al testo delle canzoni. Io credo che il testo di un brano sia fondamentale, perché può lanciare un messaggio, può generare interessanti interrogativi, può essere poesia, può incantare.
Il mio ideale di musica quindi è quello di una musica spoglia, che può essere anche solo chitarra e voce, per esempio, dove è necessario saper suonare bene uno strumento. L’importante è avere da sfoderare dei contenuti interessanti e soprattutto essere provvisti di una certa cultura, la sana e buona cultura della vita.
Qual è l’aspetto del tuo approccio artistico del quale sei più
orgoglioso?
Non sono mai stato megalomane, ho sempre lavorato dietro le quinte cercando con grande umiltà di imparare il più possibile e ringraziando ogni giorno il mio destino perché che mi aveva fatto incontrare persone così in gamba.
Suonavo anche 10 ore al giorno, e preferivo di gran lunga suonare in sala di registrazione piuttosto che dal vivo. In più di quarant’anni penso di essere arrivato in ritardo ad un appuntamento di lavoro una volta, forse due, perché ho preso la musica sul serio, fin da quando avevo 17 anni.
Sono orgoglioso di avere preso la musica sul serio fin dall’inizio.
Nel tuo percorso hai collaborato con diversi artisti. Qual’è l’incontro che maggiormente ti ha arricchito?
Ogni artista aveva la sua peculiarità, e ad essere sincero ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa di importante. Non mi sento di fare il nome di qualcuno perché non sarebbe giusto. Posso solo dire che ci sono dei caratteri comuni che distinguono alcuni artisti dagli altri. Io devo ringraziare tutti, da Levon Helm a Claudio Lolli, semplicemente perché hanno avuto la pazienza di insegnarmi, di raccontarmi qualche aneddoto, di spiegarmi un accordo. Loro, con una parola, sono riusciti a regalarmi l’entusiasmo e un modo di pensare utile per il mio futuro.
Qual’è il tuo punto di vista sulla musica italiana attuale?
Non seguo molto a dire il vero e questo non sarebbe giusto. In realtà sono rimasto ancorato alla musica dei miei tempi. Amo la musica dei cantautori italiani dei miei tempi e il rock inglese degli anni ’60 e ’70. Con questo non disprezzo la musica odierna, semplicemente non la sento mia.
Nel tuo percorso ci sono anche alcune esperienze all’estero. Ce ne puoi parlare?
Sono andato a Londra negli anni ’80 dopo una prima esperienza professionale nella musica italiana. A Londra ho conosciuto dei musicisti di livello internazionale suonando in alcuni studi di registrazione. In Gran Bretagna era molto semplice incontrare i miti musicali di quei tempi. Ho conosciuto David Bowie, Levon Helm, John Trainor irlandese, amico della compianta Sinéad O’Connor.
I chitarristi turnisti che lavoravano in questi studi di registrazione erano bravissimi ed io ero assolutamente calamitato da loro e dai loro trucchetti. Alcuni di loro li ho poi rivisti nel tempo, fino a qualche anno fa. Si faceva gruppo e ci si muoveva insieme, sempre alla ricerca di un nuovo ingaggio. C’era una grande solidarietà. Si suonava sempre, di giorno e di notte.
Oltre alla tua attività di cantautore porti avanti anche quella di scrittore. Qual è la differenza principale nel processo di composizione di un testo letterario e di una canzone?
In realtà sono abbastanza simili. C’è qualcosa che ti colpisce, qualcosa che vedi, qualche sensazione strana che provi. Devi ovviamente avere una certa sensibilità, e devi sentire la necessità di riportare agli altri questa tua emozione. Se senti una musica che la descrive, scrivi la musica, altrimenti scrivi un racconto, un testo o una poesia. Credo che l’arte sia dentro ognuno di noi e che sia sufficiente trovare la propria formula per esternare una sensazione forte che si è provata. Può essere la pittura o la poesia, la scultura o la musica.
Qual è l’obiettivo che oggi senti ancora di non avere raggiunto?
L’essere disinvolto sul palco come tanti musicisti che sono mentalmente liberi in quel frangente. Io sono sempre preoccupato di tutto, a partire dalla semplice rottura di una corda della chitarra; non sono mai riuscito a godermi quei momenti come meritavano. Non mi ricordo più niente, ho fatto circa 1500 concerti e non mi ricordo più nulla. Pazzesco!
Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.