Karma

Intervista ai Karma che, a oltre 30 anni dall’uscita, hanno pubblicato il disco d’esordio in una speciale versione celebrativa.

Il disco, che porta il nome della band, è nuovamente disponibile grazie a una riedizione curata da Sony Music Italy, che per la prima volta lo pubblica in formato vinile con l’aggiunta di due bonus track inedite. Qui il link per l’acquisto di una copia fisica.

Nati nel cuore dei movimenti studenteschi e delle contaminazioni artistiche di quegli anni, i KARMA erano guidati da David Moretti, poi diventato direttore creativo di Apple in California. La formazione includeva talenti come Andrea Viti (futuro bassista degli Afterhours), il chitarrista Andrea “Il Conte” Bacchini, il batterista Diego Besozzi e uno dei migliori percussionisti italiani, Alessandro “Pacho” Rossi. «Tutto dal basso, tutto interconnesso tra una miriade di piccole realtà», ricorda Moretti, descrivendo un’epoca di grande fermento creativo.

Questa nuova edizione da collezione, disponibile in esclusiva sullo store di Sony Music, si presenta come un doppio LP in vinile color oro da 180 grammi, impreziosito da un artwork rinnovato. Ad arricchire l’opera ci sono due versioni inedite della celebre traccia “Il Cielo”:

  • “Il Cielo” (versione piano e violoncello)
  • “Il Cielo” (versione acustica)

Per celebrare l’uscita, è stato pubblicato anche il nuovo videoclip della versione riarrangiata de “Il Cielo”, collegando idealmente il passato della band al presente.

Intervista ai Karma

Bentrovati Karma! Parliamo di un progetto molto speciale: la ristampa del vostro primo album, a oltre trent’anni dall’uscita. Cosa significa per voi questo ritorno alle origini, ma con uno sguardo al futuro?

È un momento di grande felicità per noi. In realtà, questo ritorno affonda le sue radici nel 2023, quando abbiamo rotto un lungo silenzio con un nuovo album. Da allora abbiamo vissuto una crescita continua, che ci ha riportato in tour per venti date in tutta Italia. Alla fine di quel percorso, culminato con il sold out in Santeria il 29 marzo, è arrivata anche la notizia di questa ristampa con Sony.
La vera emozione, però, è il fatto che per la prima volta l’album esce anche in vinile. Ai tempi, infatti, ci fu negata questa possibilità: eravamo tra i primi artisti penalizzati dal passaggio al CD e alla musicassetta. Questa pubblicazione in vinile colma una ferita aperta da decenni.

Nel 1994 Milano era attraversata da un fermento culturale molto intenso. Che atmosfera si respirava in città e quanto ha influito sul vostro percorso artistico?

La Milano di fine ’80 e inizio ’90 era un crocevia creativo incredibile, non solo nella musica, ma in tutte le arti. Era la città della “generazione Pantera”, delle grandi occupazioni universitarie, del desiderio di esprimersi e occupare spazi reali in una società che non stava al passo con i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici.
Vivevamo una rivoluzione pacifica dal basso. Era normale collaborare in modo trasversale: musicisti, danzatori, videomaker, persino stilisti. Io abitavo in una casa occupata in via Garigliano, e ricordo che lì si tenevano sfilate di brand che poi sarebbero diventati famosissimi.
Era un momento irripetibile, un’esperienza collettiva che ci ha formati nel profondo.

Il vostro esordio è stato uno dei primi dischi prodotti nella mitica Jungle Sound. Che ricordi avete di quell’ambiente?

La Jungle Sound era un vero laboratorio creativo. Aprivi una porta e ti potevi trovare davanti Eros Ramazzotti, un’altra e trovavi Manuel Agnelli. C’era un’energia incredibile: un clima rilassato, ma al tempo stesso pieno di entusiasmo e passione per il lavoro.
Molti ci dicono che quel disco suona ancora moderno. Il motivo? L’estrema cura per i dettagli, l’amore per la sperimentazione. La Jungle Sound era perfetta per questo: un crocevia tra mainstream e underground. Lì potevano incontrarsi artisti affermati e giovani band agli esordi come noi, i Casino Royale, i Ritmo Tribale, i primissimi Afterhours, La Crus…
Non esistevano molti luoghi dove potersi davvero esercitare sul proprio suono, fare ricerca vera. Lì abbiamo trovato un habitat naturale.

Vi siete definiti “infiniti atolli di un arcipelago che rivendicava la propria esistenza”. Esiste ancora oggi quella voglia di sperimentare dal basso?

All’epoca era un’esigenza concreta, non semplice estetica. Ci scambiavamo fotocopie sbiadite con i metodi di registrazione di Steve Albini, registravamo con batterie scariche, samplers rudimentali… Qualsiasi cosa potesse aiutarci a trovare un suono nostro.
Oggi è diverso, ma la voglia c’è ancora. Penso, ad esempio, al lavoro di Finneas con Billie Eilish, che unisce vecchie tecniche analogiche a un approccio digitale contemporaneo.
Noi avevamo reti di prossimità fisica, nate nei centri sociali e nelle case occupate. Si viaggiava per l’Europa tra queste realtà. Oggi le comunità si formano online, ma la voglia di condivisione e appartenenza è la stessa. Solo che i mezzi e i luoghi sono cambiati.

Il senso di comunità emerge anche dai featuring del vostro primo disco, che oggi possiamo definire iconici. Come nascevano queste collaborazioni?

Tutto accadeva in modo naturale. Stavamo chiudendo “Nascondimi” e Manuel Agnelli entra in studio per caso: lo mettiamo subito al microfono per i cori. Ci serviva un ritornello? Ecco che Andrea Scaglia dei Ritmo Tribale era lì e ci aiutava a scriverlo.
Un episodio significativo: “Una stella che cade”, brano presente solo nella versione vinile della ristampa, fu registrato di notte, quando lo studio era libero. In quel momento casualmente c’era anche Patrick dei Casino Royale, così è nata una versione orchestrale de “Il cielo”, con piano, violoncello e percussioni.
Era un modo di vivere la musica aperto, istintivo. Noi partecipavamo a dischi altrui. I gruppi si contaminavano: Andrea (Viti) sarebbe poi entrato negli Afterhours dopo la nostra lunga pausa, fino a “Ballate per piccole iene”.

Parlando ancora di originalità e libertà espressiva: il vostro sound ha sempre avuto una forte identità, tra grunge, elettronica e introspezione. Oggi, che sensazioni provate riascoltando “Karma”, il vostro disco d’esordio?

E’ un disco che ha superato la prova del tempo. Suona ancora molto bene, e questo anche grazie alla dedizione e alla cura con cui è stato realizzato. Come dicevo prima, abbiamo lavorato sui particolari per ottenere esattamente il suono che cercavamo in quel momento. “Karma” è uscito nel 1994, ma lo abbiamo registrato nel 1992, quindi in piena epoca grunge.
Volevamo inserirci con consapevolezza all’interno di quel movimento musicale che stava rivoluzionando il mondo dell’hard rock e, in parte, anche del metal – sebbene il metal abbia sempre vissuto in un territorio più “sicuro”. Per noi è stato importante aggiungere la nostra voce a quel coro globale, pur mantenendo una specificità tutta nostra: italiana, forse anche milanese. In questo senso, abbiamo cercato di inserire il nostro tassello.
Un gruppo che secondo noi ha saputo rappresentare davvero bene l’aderenza alla contemporaneità è senza dubbio i Casino Royale. Assolutamente.

Un’ultima curiosità: questo progetto chiude un cerchio o apre una nuova fase?

Entrambe le cose. La cosa bella di questa ristampa è che in qualche modo celebriamo un anniversario, ma lo facciamo anche come parte del nostro ritorno. Non è un’operazione nostalgica, né un voltarsi indietro: è piuttosto un festeggiare la nostra provenienza.
Per quanto riguarda il futuro, lo stiamo costruendo adesso. Abbiamo la leggerezza e la libertà di non avere aspettative, di affrontare la musica con un atteggiamento completamente diverso. E possiamo anche sfruttare tutte le possibilità offerte dal digitale, che oggi dà spazio a tutti.
Anche qui, cerchiamo di aggiungere la nostra voce, con la speranza di condividerla il più possibile.

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