Non ha bisogno di presentazioni Rosalino Cellamare, da tutti conosciuto con lo pseudonimo di Ron. Ospite della serata finale della quinta edizione del Festival Internazionale del Videoclip IMAGinACTION, l’artista si è raccontato ai nostri microfoni poco prima dell’evento, dove gli verrà consegnato lo Special Award alla carriera.
IMAGinACTION, quinta edizione del Festival Internazionale del Videoclip. Diamo il benvenuto a Ron. Quanto credi sia importante oggi una rassegna dedicata al linguaggio audiovisivo?
«Beh, sta prendendo un’importanza incredibile, direi che l’attenzione di un videoclip è diventata pari a quella di un disco. C’è sicuramente tanta cura e tanta attenzione alle riprese, alle luci e alle idee che vengono fuori».
Tra l’altro, grazie ad una recente battaglia di Stefano Salvati e di Raffaella Tommasi, il videoclip è stato finalmente riconosciuto dal Ministero della Cultura come una vera e propria opera d’arte. Direi un traguardo importante…
«E’ molto importante perchè, sai, gli americani e gli inglesi sono molto più avanti rispetto a noi. Poter accedere a dei finanziamenti è utile per realizzare e concretizzare le ottime idee che abbiamo. Per ottenere risultati di un certo livello, alla fine, sono indispensabili sia i contenuti che le risorse».
Ripercorrendo a ritroso la tua lunga e bella carriera, qual è il tuo video a cui sei più legato?
«Un video del 1984, forse il primo in assoluto che ho realizzato, ovvero quello di “Joe Temerario”, una canzone a cui sono molto affezionato, utilizzata come sigla di “Domenica In” e da Mario Monicelli nel suo celebre film “Speriamo che sia femmina”».
Da “Joe Temerario” al videoclip del tuo ultimo singolo rilasciato “Abitante di un corpo celeste”, quanto è cambiato il linguaggio dei videoclip?
«Sicuramente tanto. Personalmente ho sempre scelto la modalità del racconto, perchè a me non piacciono i video che hanno dei contenuti diversi rispetto al senso della canzone. Secondo il mio punto di vista, ci deve essere una qualche connessione tra le immagini, le parole e la musica».
A proposito di musica, di parole e di immagini, in diverse interviste hai dichiarato che ti piacerebbe dedicarti alla composizione di una colonna sonora. Ti piacerebbe in futuro anche provare con la regia? E’ un’esperienza che ti stuzzica?
«In realtà no, mi piace molto tutto il resto, la parte legata alla musica e al mio lavoro, ma come regista non mi ci vedo proprio. Farei perdere un sacco di tempo perchè sono un rompiscatole pazzesco (ride, ndr). In più trovo sia bello interfacciarsi con dei registi veri e con le loro idee, lo considero sempre un confronto costruttivo».
Questa sera ti esibirai cantando alcune delle tue più belle canzoni, proponendoci anche un duetto inedito con Enula. Una tua vecchia conoscenza…
«Sì, Enula ha frequentato la mia scuola di musica. Devo dire che in questi anni ha fatto passi da gigante, l’esperienza di “Amici” le è sicuramente servita per crescere e trovare la sua vera identità».
Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi cinquant’anni di attività?
«Sai, con la musica è molto facile uscire da quello che sei, perchè ti fai prendere dal ritmo, dagli arrangiamenti e da tanti fattori esterni. In realtà, secondo me, è importante restare fedeli a se stessi. Io voglio essere Ron e nessun altro, perchè sono quello che scrivo e quello che canto».
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
