NIO Quattromura
Incredibilmente lucido, cinico e crudo, ma anche dolce e malinconico, “QUATTROMURA” è l’EP d’esordio di NIO, giovane scommessa di Asian Fake.
“Quando chiudo gli occhi davanti al pianoforte le dita scorrono da sole sui tasti, come se non fossi io a muoverle. E mi perdo nei suoni. È uno dei pochi momenti dove non riesco e non voglio pensare. Ricordo ogni singolo momento: dalla rabbia nel non trovare le parole, ai brividi una volta trovate. QUATTROMURA è il frutto di quasi due anni di lavori. Devo un grosso grazie a Enrico (Estremo), per avermi accompagnato in questo fantastico viaggio, e a tutte le persone che ne hanno preso parte. Questo sono io. Ed è solo l’inizio”.
Intervista a NIO Quattromura
Ciao Pietro, bentrovato su IMusicFun. Come stai?
Sto benone, un po’ spossato. Sono state giornate di fuoco e ora finalmente riesco a tirare un attimo il fiato in quel di Bellaria-Igea Marina, con il mare e un po’ di aria pulita.
Ci parli un po’ di NIO? Come nasce questo progetto e cosa si cela dietro questo tuo nome d’arte?
NIO sono io, Pietro Gozzoli, un ragazzo di 22 anni. Vivo a Bellaria-Igea Marina e sono nato il 21 marzo del 2000. Questo progetto nasce nel 2009/2010, quando trovai mio padre con la chitarra in mano per la prima volta e gli chiesi di insegnarmi a suonarla. Il nome, NIO, è molto semplice. Ho scelto tre lettere all’interno delle quali potesse esistere sia la parola “noi” che la parola “io”. Volevo suonasse come un Carpe Diem, che mi ricordasse di rimanere presente a tutte le mie mille sfaccettature.
Che rapporto hai con le “QUATTROMURA” che danno il titolo al tuo EP d’esordio? Ci descrivi questa stanza?
Con le quattro mura ho un rapporto intimissimo. Ho scelto questo titolo perché le quattro mura della stanza di casa mia, quella dove c’è il pianoforte, sono le mura che hanno dato vita a praticamente ognuno di questi brani. È il posto dove tutti i miei pensieri si legano e dove, allo stesso tempo, scompaiono.
Circondato da quelle quattro mura, con la mente vado in dei posti magici, per poi tradurre tutto in parole. È una stanza semplicissima, con una scrivania, un letto, un pianoforte (uno Schimmel) e qualche vinile sparso. Solitamente scrivo con tutte le tapparelle giù, quasi al buio, perché non voglio farmi vedere da nessuno, tanto meno sentire. Voglio rimanere il più solo con me stesso possibile.
Un sound che spazia dal pop-rock all’elettronica e una penna che si ispira spesso al mondo cinematografico. Oggi, quali sono i tuoi principali riferimenti?
Ultimamente sono solito ascoltare poca musica, nel senso che sono passato da un ascolto volto alla ricerca del brivido a uno molto più curioso. Di recente ho scoperto un artista fortissimo che si chiama Life Is Better Blonde e che, oltre ad essere un cantante pazzesco sulla wave di James Blake, è anche un produttore formidabile e veramente ingegnoso. Ecco, sono un po’ nella fase dell’ascolto curioso, dove vado a ricercare cose strane o idee pazze di produttori e cantanti.

In “Segni” parli di cicatrici che tracciano una mappa sulla nostra pelle, ricordandoci chi siamo e la strada che abbiamo percorso. Tu che rapporto hai con questi “Segni”?
Con questi segni ho un rapporto di amore e odio. Da un lato sono perlopiù ricordi spiacevoli, situazioni scomode, ricordi che mi stringono il cuore. Dall’altro sono le cicatrici che mi permettono di essere quello che sono oggi. C’è quindi sia un sentimento di devozione che un po’ di malinconia.
In “Abisso”, invece, ti metti totalmente a nudo: “Se mi guardo dentro è come fare un salto nel vuoto. Tu non lasciarmi da solo, anche se non so chiedere aiuto”. Oggi c’è un consiglio che ti sentiresti di dare a chi sta attraversando quello che poco tempo fa hai vissuto tu?
Abisso ha proprio questo come intento: non tanto di dare un consiglio agli altri, ma piuttosto di darlo a me stesso. Ed è fantastico come, partendo da un lavoro su se stessi, si possano aiutare anche le altre persone. Alla fine è questo quello che ha fatto con me la musica e, di conseguenza, questo è quello che voglio fare io.
Il consiglio è tutto dentro la canzone: non sempre nella vita ce la si può fare da soli e io ho avuto la fortuna di avere tante persone intorno a me, che mi vogliono bene e che si sono rese disponibili nei miei momenti di difficoltà. Se dopo anni sono riuscito ad aprire bocca e a smettere di pensare di riuscire a farcela sempre da solo è anche grazie a loro. So che detta così sembra semplice, ma non lo è.
Sto cercando di essere il meno prolisso possibile, però è una canzone alla quale tengo tantissimo e per scriverla ci sono voluti pianti, sedute, giornate veramente toste, tanto che ho dei vuoti di memoria incredibili rispetto a quei momenti lì. Detto proprio con il cuore: sforzatevi di chiedere aiuto, perché se non lo avessi fatto probabilmente non sarei qui.
“Twin Peaks” è una critica alle dinamiche della società contemporanea. Qual è stata la goccia che ha fatto riversare l’inchiostro sul foglio bianco?
“Twin Peaks” è nata totalmente di getto. L’ho iniziata che non sapevo di cosa parlare o di cosa stessi parlando. È nato tutto con la prima frase, che poi ho contestualizzato sopra un beat. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il sentimento di costrizione che mi segue quasi in ogni attimo della mia vita, perché come dice Massimo Pericolo “Non c’è una scelta se i bisogni te li impongono”. Questo qui è un sentimento che mi accompagna da tanto tempo.
Tu hai presentato in anteprima “QUATTROMURA” al Germi di Milano. Hai in programma altri appuntamenti live?
Sì e non vedo veramente l’ora di portare tutto live, perché – prima della musica – il mio sogno è saltare con le persone ai concerti. Penso di essermi guardato tutti i live dei Bastille, dove la gente salta proprio come delle caprette. Non vedo veramente l’ora. NIO Quattromura

Classe 1998, negli ultimi 4 anni ha collaborato con diverse emittenti radiofoniche. Di notte recensisce musica, di giorno ne parla con gli artisti. Nostalgica ed empatica, scrive spesso nei giorni di pioggia. La musica? Un ricordo senza origine che ha ribaltato ogni prospettiva.
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