La nostra intervista a Niccolò Fabi in occasione del Premio Tenco, rassegna dedicata alla canzone d’autore giunta alla sua 46esima edizione. Il cantautore romano si è aggiudicato l’ambita Targa per la miglior canzone con “Andare oltre“, brano che racconta di chi si concede il diritto di essere ancora felice dopo una separazione e che celebra la grandezza del ritrovare se stessi.
Oltre ad aver inaugurato la sua carriera sul palco dell’Ariston partecipando a due edizioni del Festival consecutive, nel 1997 con “Capelli” e nel 1998 con “Lasciarsi un giorno a Roma”, Niccolò Fabi torna a Sanremo dopo aver vinto la Targa Tenco già altre due volte, nel 2013 con “Ecco” e nel 2016 con “Una somma di piccole cose”. Scopriamo quali sono le sensazioni e gli stati d’animo, alla vigilia dell’evento, dalla voce dello stesso protagonista.
Intervista a Niccolò Fabi, Premio Tenco 2023
Quanto è importante ricevere questo riconoscimento attribuito a una canzone così vissuta e importante per te?
«Indubbiamente mi ha in qualche modo sorpreso, perché la sentivo una canzone così privata, al punto da non poter immaginare un tale riscontro per un sentimento raccontato in maniera così trasparente e con un’attitudine fuori dai clamori… ecco, mi aspettavo che questa canzone potesse rimanere un pochino più nella penombra. E invece, il fatto che sia addirittura stata riconosciuta come proposta da Targa Tenco, non posso nascondere ovviamente che mi fa piacere. Mi ha sorpreso, ma mi fa molto piacere».
Una prerogativa del Premio Tenco è proprio quella di riservare un’attenzione particolare a proposte non da primissimo ascolto, considerato soprattutto il brusco calo dell’attenzione dell’attuale società, specie per chi come te si professa lontano da certi circuiti mediatici. Proporre una canzone di 5 minuti, oggi come oggi, può essere considerato un po’ un azzardo?
«Sì, al punto che sono talmente abituato al fatto che le mie proposte percorrano ormai delle vie fuori dai grandi circuiti, da non pensare nemmeno che “Andare oltre” potesse essere considerata potenzialmente vincitrice di questo prestigioso e ambito riconoscimento. Però, come hai sottolineato, questo è un luogo dove per fortuna si privilegia ancora il secondo e il terzo ascolto, per non parlare di quelli successivi. Opzioni e possibilità che, di fatto, al di fuori di questo consenso vengono concesse sempre meno».
Hai più volte raccontato che “Andare oltre” è una canzone nata nell’intimità della tua camera e che ha poi incontrato l’esperienza di Enrico Melozzi e il talento dell’Orchestra Notturna Clandestina. In che termini questi elementi hanno contribuito a rendere il brano così come lo conosciamo?
«La canzone è sempre un difficile equilibrio fra la parte autorale, quindi le parole scritte, le note scelte e l’ambientazione sonora, che comunque influisce tanto nello stato d’animo di chi ascolta. La scrittura di “Andare oltre” era completa e credo molto chiara rispetto a ciò che raccontava. Però, l’orchestrazione di Enrico Melozzi e quel tipo di suono, credo che abbia creato una stanza attorno a quelle parole che le hanno e restituito un respiro maggiore. Senza quell’orchestrazione sarebbe stata veramente un po’ asfittica, mentre l’idea era quella di riuscire a far aprire la stanza e fare entrare dell’aria».
La città di Sanremo e il palco dell’Ariston sono due luoghi per te molto importanti, perché hanno
segnato il tuo esordio al grande pubblico, ma anche scandito due diverse fasi della tua carriera. Il Festival da una parte, con tutto il suo gusto nazionalpopolare, e il Premio Tenco dall’altra. Se vogliamo due manifestazioni agli antipodi, ma che rappresentano due momenti della tua storia musicale. Che valenza assume per te questo posto?
«Ha una valenza simbolica enorme, proprio perché rappresenta gli estremi opposti. Non li metto su un livello di qualità, ma proprio di ambientazione, di linguaggio. È indubbio che io mi senta più a mio agio in un contesto come quello odierno, perché attorno al Festival di Sanremo aleggia un’atmosfera di tensione, non per un fatto ideologico, ma la considero una vetrina che estremizza un po’ l’ansia da competizione. Cosa che io detesto, diciamo, e che mi fa stare male. Questo al Premio Tenco non accade, perché sono decisioni prese da altri, non c’è alcun ring dove far sfilare gli artisti. Quindi, caratterialmente, è ovvio che mi sento molto più sereno questa sera che ventisei anni fa».
Lo scorso febbraio, un tuo bellissimo disco ha compiuto vent’anni di vita. Parlo de “La cura del tempo” che conteneva canzoni come “Mimosa”, “Il negozio di antiquariato”, “Offeso” e soprattutto “E non è” che possiamo considerarla un po’ il manifesto di quel lavoro. Un progetto che ha rappresentato un po’ un ponte, più che uno spartiacque, per la tua carriera. Cosa ha rappresentato per te quel disco?
«È un disco che, formalmente più che a livello di contenuti, ha rappresentato per me una sorta di presa di coscienza, l’inizio di una nuova consapevolezza. Ha un pochino invertito la rotta, tra una prima percezione di quello che ero e quello che facevo, il tutto decisamente condizionato dal circo mediatico che il Festival di Sanremo aveva creato attorno a me e che aveva sicuramente concentrato l’attenzione su altro. Da parte mia, probabilmente, non ero riuscito con il secondo e con il terzo disco a trovare un equilibrio, a scrivere in una maniera serena. Con “La cura del tempo” credo di essermi tranquillizzato, senza negare il passato e gridare a gran voce che non ero quello di “Capelli”, ma semplicemente provare in qualche modo a indirizzare la prua della mia barca verso la direzione a me più congeniale».
A proposito di quanto sta accadendo in queste ore in Israele, nel 2019 hai visitato quei luoghi con la Nazionale Cantanti. Un viaggio organizzato e fortemente voluto, ancora una volta, dal direttore generale Gian Luca Pecchini. Che ricordo hai di quell’esperienza?
«In Israele ci sono andato due volte, sempre con la Nazionale Cantanti. Ricordo la prima volta con più enfasi, perché ebbi l’occasione di incontrare sia Arafat a Ramallah che Shimon Peres a Tel Aviv, perché ero stato eletto rappresentante diplomatico della Nazionale Cantanti. Il mio compito era quello di cercare di organizzare a Roma una partita per la pace, che avrebbe visto la squadra giocare con una formazione mista di giocatori israeliani e palestinesi. Cosa che incredibilmente avvenne, soprattutto se pensiamo all’attualità. E fu l’ultima volta che Arafat e Peres furono visti insieme, nel 2000 allo Stadio Olimpico. Da lì in poi partì la seconda intifada e si ritornò da capo a zero, fino ad arrivare a oggi, a questa continua altalena fra speranze e ipotesi che ci sia un passo in avanti per la costruzione della pace. Speranze e ipotesi che vengono continuamente disattese. È un qualcosa che rende forse quella questione unica nel suo genere, purtroppo, tra tutte le altre questioni aperte che alterano il nostro equilibrio mondiale».
Video Intervista a Niccolò Fabi, Premio Tenco 2023
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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