Il sipario sull’Eurovision Song Contest 2025 è calato, ma le tensioni interne all’evento continuano a far discutere. Al centro del dibattito internazionale non c’è solo la controversa partecipazione di Israele, bensì anche il ruolo centrale della Germania nel bloccarne l’espulsione, insieme al futuro sempre più incerto di Martin Österdahl, supervisore esecutivo dell’evento.
Diverse emittenti europee all’interno dell’EBU (European Broadcasting Union) avrebbero avanzato richieste esplicite per escludere Israele dalla competizione, sulla scia delle proteste popolari e istituzionali sorte in seguito al conflitto in corso nella Striscia di Gaza. Tuttavia, secondo quanto riportato dal quotidiano turco Cumhuriyet, a bloccare l’iniziativa sarebbe stata ARD, emittente pubblica tedesca e membro dei “Big 5” dell’Eurovision.
La posizione tedesca è stata chiara: “Se escludete Israele, ci ritiriamo anche noi”. Un ricatto, secondo alcuni, ma anche un segnale di quanto Berlino consideri strategica la partecipazione israeliana all’evento, sia per ragioni storiche che geopolitiche. Lo conferma anche il giornalista Martin Gak, secondo il quale i rappresentanti tedeschi avrebbero esercitato un’influenza determinante all’interno dell’EBU.
Secondo Gak, la presenza di Israele all’Eurovision ha finalità che vanno ben oltre il piano musicale: si tratterebbe di un vero e proprio strumento politico e comunicativo, volto a raggiungere le giovani generazioni attraverso piattaforme come TikTok, diffondere una narrazione favorevole al governo israeliano e rafforzare il soft power del Paese.
La cantante israeliana in gara all’Eurovision 2025 è stata accolta come un’eroina nazionale, e la vittoria al televoto in molti Paesi è stata celebrata come un successo politico. “Permettere a Israele di salire su quel palco significa regalargli legittimazione internazionale – sostiene Gak – ed è un controsenso se pensiamo che tre anni fa la Russia è stata espulsa per motivi simili, a causa dell’invasione dell’Ucraina.”
Gak individua diverse motivazioni. Da una parte, un legame psicologico profondo legato alla memoria della Shoah e a ciò che definisce come “il senso di colpa tedesco”, che spingerebbe Berlino a sostenere Israele come forma di espiazione morale. Dall’altra, però, ci sono interessi commerciali concreti: Germania e Israele intrattengono rapporti stretti nel campo delle forniture militari e della cooperazione intelligence, oltre a un’intensa rete economica bilaterale.
Un paradosso, se si considera che la Germania è spesso in prima fila nelle battaglie per i diritti umani. Eppure, in questo caso, il principio politico sembra aver prevalso su quello etico, come dimostrerebbe anche il caso Joost Klein.
Gak riporta nuovamente alla luce la controversa esclusione dell’artista olandese Joost Klein dall’Eurovision 2024. Secondo la versione ufficiale, Klein sarebbe stato squalificato a seguito di un comportamento inappropriato nei confronti di una fotografa. Tuttavia, Gak sostiene che la vera ragione fu una dichiarazione pubblica in cui l’artista criticò la presenza di Israele in gara, proprio mentre era seduto accanto alla concorrente israeliana.
Il giornalista parla apertamente di una “diffamazione”, affermando che le indagini svedesi non trovarono alcuna prova concreta. L’esclusione di Klein sarebbe stata quindi una mossa politica per evitare polemiche e mettere a tacere una voce scomoda.
In questo clima teso, si fa sempre più concreto il possibile addio di Martin Österdahl, supervisore esecutivo dell’Eurovision. Recentemente, Österdahl ha perso una battaglia legale per la custodia di un appartamento in Svezia, dichiarando in tribunale che intende trasferirsi con la famiglia nella primavera del 2026, “quando il mio incarico all’Eurovision sarà terminato”.
Una dichiarazione che suona come una conferma: l’esperienza di Österdahl alla guida del concorso è vicina alla conclusione, forse accelerata dalle polemiche sempre più aspre degli ultimi due anni e da una gestione che molti considerano problematica, soprattutto per la mancata neutralità dell’evento.
Dopo anni di espansione e di promesse di inclusività e apertura, l’Eurovision sembra trovarsi a un bivio. Le scelte editoriali, le pressioni politiche e le influenze economiche stanno ridefinendo il significato stesso della manifestazione, che rischia di smarrire la sua vocazione originaria: unire, attraverso la musica, popoli e culture.
Con un supervisore uscente, un pubblico sempre più diviso e una credibilità messa a dura prova, il futuro dell’Eurovision appare oggi, al termine dell’edizione 2025, più incerto che mai. E la Germania, da ago della bilancia, è ormai parte integrante della crisi.
Photo: Sören Vilks

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