“Così eravamo: Giornalisti, orchestrali, ragazze allegre e altri persi per strada” è il nuovo libro di Francesco Guccini. Qui il link per l’acquisto. Il cantautore ne ha parlato alla Gazzetta di Modena.
“Nel libro ci sono personaggi, ci sono persone che diventano personaggi. C’è il compagno di scuola (il Colombini, ndr) che muore ragazzino, c’è quello che scende dall’Appennino per fare il giornalista, con una fame bestiale, non ha i soldi nemmeno per comprarsi un panino. Come diventa un personaggio l’ex cantante di operetta, come li diventano l’altro giornalista e il pittore che fanno un’assurda gara di sesso. Personaggi di storie, non c’è mica bisogno che diventino David Copperfield o Ulisse… Personaggi minimi, che fanno parte dell’esistenza che tutti noi viviamo quotidianamente.”
Spiega Francesco Guccini, che prosegue.
“Gli altri miei racconti sono sempre stati locali, dell’Appennino. Ora, invece, dietro a questi racconti c’è Modena, la Modena degli anni Cinquanta, sicuramente molto diversa da quella di ora, anche se non la conosco bene, perché non ci abito più dal 1960. Ci sono nato sì, ma mi ci ritrovai poi nel 1945, in un mondo completamente diverso da Pavana, dove vivevo coi miei nonni, al mulino, una casa isolata con il fiume di fianco. Tutto diverso: a Modena abitavo in un condominio, c’erano strade, non più il bosco, non più il fiume. Sono quindi diventato modenese, parlando anche con l’accento modenese che poi fortunatamente ho del tutto perso. E a Modena ho fatto le medie e superiori e ho cominciato a lavorare.”

Francesco Guccini, poi, svela che…
“Ho lavorato due anni alla Gazzetta dell’Emilia, ma poi ho smesso perché non mi facevano il contratto. Ero un precario, andavo tutti i giorni, non c’era nemmeno un giorno di riposo. Solo il Primo maggio facevo festa. Si lavorava fino alle tre del mattino, quando il giornale chiudeva. Mi davano ventimila lire al mese, che non erano tante. Dopo un anno feci due settimane di ferie e quando andai a prendere lo stipendio mi aspettavo le solite ventimila lire. “Eh no – mi dissero – Hai fatto due settimane di ferie e quindi ti spettano diecimila lire”. Dopo qualche mese incontrai un amico che suonava la batteria in un complesso da ballo e mi misi insieme a loro, suonavo la chitarra e cantavo.”
Presentando Così Eravamo, Francesco Guccini esprime un desiderio.
“Preferirei essere ricordato come scrittore ma tutti mi ricordano come cantautore. Quando vado a fare le terme a Porretta tutti mi fermano e mi dicono “maestro, maestro”. “Ma maestro di che?”, rispondo. Vabè, sono maestro di scuola elementare, ma non mi sento e non mi sono mai sentito un maestro musicale. Non ci sono messaggi nelle canzoni, non sono mica un guru, un profeta, io parlo di vita quotidiana. È cambiato anche il mondo della discografia, totalmente cambiato. Recentemente ho fatto due dischi di cover, canzoni non mie, ma che volevo cantare perché mi sono sempre piaciute.”
Infine una confessione sulle sue canzoni preferite dal pubblico.
“Una canzone che a me non piace, che la considero inferiore a tante altre, è “L’avvelenata”, ma fu un successo. “Dio è morto”? Da un punto di vista tecnico non è una gran canzone, ne ho scritte delle migliori, dal punto di vista tecnico dico, non del contenuto. “La locomotiva”? Fu molto apprezzata, dissero che era la vera canzone folk, popolare, del dopoguerra: è stata una canzone fortunata.”

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