Intervista a Shablo che il 4 luglio pubblicherà “Manifesto”, molto più di un semplice album. Con la sua visione lucida e una sensibilità musicale raffinata, il producer italo-argentino ha contribuito a ridefinire il suono contemporaneo, segnando in maniera indelebile l’evoluzione del genere nel nostro Paese.
(Qui il resoconto della conferenza stampa e Qui il link per l’acquisto di una copia fisica del disco.)
Nel ruolo inedito di frontman d’eccezione, con “Manifesto” – in uscita il 4 luglio per Oyster Music / Island Records – Shablo mette a nudo la sua identità artistica, scavando nelle radici profonde della sua formazione. Jazz, soul e black music contemporanea si fondono in un racconto sonoro che è personale e universale al tempo stesso: un viaggio musicale che riflette la sua storia, il suo gusto, la sua visione.
Intervista a Shablo
Shablo, “Manifesto” è il tuo primo vero progetto solista. Cosa rappresenta per te?
Rappresenta la voglia di tornare a fare musica da protagonista. Negli ultimi anni mi sono concentrato molto su strategia, management e sulla produzione per altri artisti. Con Manifesto ho voluto dedicarmi di più a me stesso, tornare a uno studio più personale e libero.
Il disco ha una grande varietà stilistica. Si sente che nasce da un’urgenza autentica, ma anche dalla volontà di divertirti.
Assolutamente. La musica, anche se è un lavoro, deve partire dal divertimento, dalla creatività, dall’emozione. Solo così puoi emozionare anche gli altri. È stato un vero privilegio poterlo fare.
Tra soul, jazz e hip hop, come riesci a mantenere un equilibrio e dare armonia a suoni così diversi?
Ogni artista ha la sua visione. Io metto tutto dentro un frullatore – soul, jazz, hip hop – e da questo emerge la mia musica, il mio modo di intendere questo lavoro. Dopo oltre vent’anni nel settore, ho una visione molto personale. Ho cercato di proporre i generi che mi hanno fatto innamorare della musica, anche se arrivano dal passato, perché per molti oggi possono essere nuove scoperte.
Com’è nato il lavoro con Luca Faraone, tuo collaboratore musicale?
L’ho scoperto io anni fa quando viveva a Londra. Lavorava dal vivo con grandi nomi come Craig David e Camila Cabello. In studio, tra noi c’è stata subito alchimia. Lui riesce a seguire totalmente le mie idee, riesce a concretizzare la mia visione. Suona tutti gli strumenti ed è molto rapido ed efficace nel processo.
Joshua è presente in molti brani.
È la voce che avrei voluto avere! È incredibile: calda, black, potente. Mancava nel panorama italiano. Sono felice di averlo scoperto e di potergli dare la luce che merita.
Nel disco troviamo anche Mimi, giovane artista femminile.
Mimi è la controparte femminile perfetta. Ha appena compiuto 18 anni e ha un potenziale enorme. Mi accompagna anche nel tour insieme a Joshua.
Parlando del live, ci saranno anche omaggi musicali?
Sì, sarà anche un tributo alla musica delle mie origini. Ci saranno reinterpretazioni e omaggi, magari con barre inedite, e ovviamente i pezzi del disco. Sarà una festa vera.
Il disco ha 17 tracce. Come si mantiene una coerenza pur con tanta varietà?
Credo che venga naturale. Ho fatto il DJ per tanti anni, quindi so mischiare, creare universi sonori coerenti. Anche se i generi sono tanti, c’è un gusto comune che fa da filo conduttore.
In “Manifesto” c’è anche Inoki. Una sorpresa, vista la vostra storia. Com’è stato lavorare di nuovo insieme?
La vita è fatta di incontri e scontri. Come in un matrimonio, ci sono momenti alti e bassi. Ma se c’è la possibilità di risolvere, è giusto provarci. In questo caso la musica ha semplificato l’incontro.
Ci sono anche due collaborazioni internazionali. Perché proprio Roy Woods e Yellowstraps?
Sono due artisti di cui sono molto fan. Roy Woods ha un universo musicale vasto, anche se in Italia è poco conosciuto. Molti sanno chi è Drake, il suo mentore. Yellowstraps è un nome nuovo, ma sta crescendo tanto. Volevo evitare troppe collaborazioni estere per restare concentrato su questo mercato, ma sto già lavorando con altri artisti internazionali per il futuro.
Quindi il seguito di “Manifesto” sarà più internazionale?
Sì, mi piacerebbe andare in quella direzione. Anche a livello linguistico. Ho già un buon pubblico fuori dall’Italia – oltre il 10% dei miei ascolti arriva dall’estero. Gli italiani sono ovunque. Certo, la lingua italiana può essere un limite, ma sempre meno: oggi la musica è un linguaggio universale.
Hai dedicato il disco a Michele Lazzarini. Che ricordo hai di lui?
Tengo molto a ricordarlo. Era un grandissimo musicista. Abbiamo spesso suonato insieme, anche nel primo disco di Inoki, con un solo di sax memorabile. Ci siamo persi di vista per 15 anni, poi ci siamo ritrovati per registrare i fiati di Manifesto. È mancato una settimana dopo. Avere la sua musica nel mio disco è un regalo immenso.

Speaker radiofonico, musicista e collaboratore di diverse testate nazionali e internazionali. Segue come inviato il Festival di Sanremo dal 1999 e l’Eurovision Song Contest dal 2014 oltre a numerose altre manifestazioni musicali. In vent’anni ha realizzato oltre 8.000 interviste con personaggi del mondo della musica, dello sport e dello spettacolo. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo “La Festa di Don Martello” e nel 2022 “Galeotto fu il chinotto” e “Al primo colpo non cade la quercia”.
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