A pochi giorni di distanza dalla partenza ufficiale di Sanremo 2024, vi proponiamo la nostra intervista ad Angelina Mango, al suo esordio festivaliero con “La noia”.
Il brano, composto dalla stessa artista insieme a Madame e Dardust, gioca e ruota sui contrasti: a partire dal ritmo incalzate per passare al testo a tratti noir, malinconico, crudo e molto introspettivo.
In attesa di assistere alla performance dal vivo sul palco dell’Ariston, abbiamo incontrato Angelina Mango per scoprire i suoi stati d’animo alla vigilia di questo importante debutto.
Sanremo 2024, intervista ad Angelina Mango
Come stai vivendo questi giorni di attesa che ti separano dal tuo esordio al Festival?
«Beh, sicuramente sono entrata in un frullatore gigante e, da quello che mi dicono le persone che hanno già vissuto questa esperienza, questo frullatore diventerà sempre più frullante. Però io sono carica, mi sento pronta. È l’istinto che mi porta a fare musica, non cambia a seconda del palco e non varia in base al contesto. Quindi spero che questo approccio mi spinga ad essere sempre naturale, fresca e sincera durante ogni performance. Mi sento come una bimba che attende il giorno di Natale per poter scartare i propri regali, quasi non ce la faccio più ad aspettare!».
Un debutto che arriva a coronamento di un percorso e, forse, anche nel momento giusto…
«Sì, lo credo anch’io. Ho lavorato tanto, al punto da avvertire una sorta di tranquillità addosso, una sensazione che non provavo da diverso tempo. Così facendo credo che riuscirò a godermi tutti i momenti di questa esperienza. Se l’avessi affrontata prima, forse, mi sarei concentrata nel pensare di più a come domare le mie paure, a cercare di contrastare l’ansia, mentre oggi rifletto meno e vivo di più».
Ho sempre creduto che Sanremo fosse un po’ nel tuo destino, a riprova di questo ti fornisco qualche dato. Parto da una statistica di Eddy Anselmi, grande storico e sanremista, in cui si evince che sei la quarta artista a calcare il palco dell’Ariston con entrambi i genitori che a loro volta lo avevano già calcato. Prima di te: Rosalinda Celentano, Giacomo Celentano e Chiara Canzian, ma tutti e tre nelle Nuove Proposte, quindi sei la prima in realtà che partecipa tra i big.
Poi un’altra cosa curiosa, al di là del DNA e del legame di sangue, nell’anno in cui sei nata a Sanremo 2001 partecipava una canzone che si intitolava “Bentivoglio Angelina”, cantata dai Quintorigo. Ecco, tutto questo per chiederti: pensi che Sanremo fosse un po’ nel tuo destino?
«Non voglio considerarmi una predestinata, perché questo aumenta il senso di responsabilità, oltre che la pressione. Preferisco mantenere quello stato di stupore che mi contraddistingue da sempre. Credo che questo atteggiamento mi porti ad affrontare la cosa con molta meno tensione. Insomma, me la vivo… e non voglio affatto credere di essere una predestinata».
Sempre a proposito di statistiche, te ne dico una terza se vuoi…
«Spara…».
Sei nata il 10 di aprile, come te anche due vincitori del Festival, vale a dire Mino Vergnaghi e Valerio Scanu, ma non aggiungo altro…
«Ecco, bravo. Francamente credo che resteranno in due (sorride, ndr)».
Cabala a parte, la tua partecipazione è molto attesa… ma come è avvenuta la scelta del brano da presentare?
«A dir la verità, le prime volte che aprivo i social e mi vedevo all’interno delle varie liste dei toto-nomi, la cosa mi faceva sorridere perché non avevo ancora mandato alcuna canzone e, addirittura, non avevo neanche scritto “La noia”. Francamente non avrei mai pensato di far parte di un cast con tutti questi grandi nomi».
Quindi non si tratta di un pezzo creato apposta per questa occasione?
«No, non abbiamo scritto “La noia” per Sanremo, ma abbiamo pensato che potesse essere il pezzo più adatto nel momento in cui abbiamo finito di lavorare in studio. Risentendo il provino in macchina, mi sono resa conto che fosse il brano più adatto perché mi rappresenta in pieno e non tralascia niente. Al suo interno racchiude tutto quello che sono in questo momento: c’è l’energia, c’è la vitalità, ma c’è anche la pesantezza e la profondità del testo. In più viene messa in risalto la vocalità, che è un altro aspetto importante per me. Insomma, non mi sarei mai permessa di approcciarmi a un palco così importante con qualcosa che non mi rappresentasse così tanto».

Dalla tua parte puoi vantare anche il talento di Madame e l’esperienza di Dardust, come ti sei trovata con loro?
«Non mi aspettavo di collaborare con due giganti, almeno non così presto, anche perché il lavoro in studio è anche un discorso di fiducia, e io mi sento ancora una debuttante a loro confronto. Con entrambi si è trattato di un vero incontro umano, oltre che artistico. Ci siamo trovati sui concetti da esprimere e sulla profondità delle parole da usare, ma anche per quanto riguarda l’aspetto musicale. La scelta della cumbia, per esempio, non è affatto scontata, perché si tratta di un ballo che veniva utilizzato anticamente per esorcizzare i momenti difficili. Questo, secondo me, restituisce ulteriore importanza al messaggio…».
Un messaggio in cui credi e che ti rappresenta?
«Sì, a partire dal concetto di riuscire a ballare con una corona di spine, perché tutti portiamo addosso qualcosa che ci logora e che ci fa male, ma questo non deve trasformarsi in un pretesto per chiuderci in casa e metterci a contare quelle spine o a pensare a quanto ci fanno male. A nulla serve piangersi addosso, bisogna imparare a cogliere il buono da ogni esperienza, compreso dalla noia stessa. Devo ammettere che nella mia vita mi sono annoiata molto poco, perché ho sempre vissuto molto intensamente cose piuttosto grandi, sia belle che brutte. E in questo mi sono trovata molto d’accordo con Madame, perché entrambe abbiamo vissuto momenti di tempesta a cui poi è subentrata la tranquillità. All’inizio, quando una persona è abituata a vivere emozioni forti, la noia un po’ si disdegna. D’altra parte, però, quei momenti non rappresentano altro che tempo prezioso da poter dedicare a noi stessi. Oggi come oggi mi ritengo molto più serena, di conseguenza annoiata, ma la considero una cosa positiva, perché così ho capito molte più cose di me stessa. Tra una vita noiosa e una vita turbolenta, sceglierò sempre una vita di alti e bassi, ma lascerò sempre un po’ di spazio alla noia».
Una particolarità di questo brano è che non ha solo una parte forte, al punto che diventa quasi difficile individuare un unico inciso, probabilmente riconducibile al cantatone melodico per intenderci, ma ci sono tante altre parti che rimangono in testa. Ci racconti qualcosa di più a proposito della costruzione del pezzo?
«Mi piace che l’inciso sia così malinconico, con una melodia a tratti struggente, però allo stesso tempo ti sta dicendo: “muoio senza morire”, nel senso che tutti quanti ci portiamo dietro le nostre sofferenze, ma questo fa parte della vita. A livello di suono, apprezzo il lato materico che si sente, nonostante esca fuori molto anche l’urban. Quindi si tratta di una specie di mix, come se i Gypsy King incontrassero Maluma (sorride, ndr). Amo molto i contrasti, mi piacciono tantissimo. In più, quando ho provato il pezzo con l’orchestra per la prima volta è stato molto bello perché quell’aspetto materico è venuto fuori tutto insieme… e secondo me rappresenterà il valore aggiunto per la versione dal vivo».
Hai letto le pagelle di noi giornalisti? Che rapporto hai con questo tipo di critica che in ambito sanremese si traduce in una pratica a volte brutale ma che fa parte del grande gioco di Sanremo?
«In realtà leggere le pagelle mi ha reso felice, anche se ricordo di essere stata abbastanza in tensione poco prima, perché riconosco che si tratta di un qualcosa di importante. Quello del giornalismo è un mondo che ne ha sentita tanta di musica, quindi sono contenta di aver ricevuto buoni voti e tante opinioni positive. Questo vuol dire che qualcosa di buono l’ho fatto, anche se il mio obiettivo finale è quello di arrivare a tutti, al giornalista così come alla bambina che deve andare a scuola il giorno dopo o alla signora che è tornata a casa tardi dal lavoro. Alla fine, ognuno di noi percepisce la musica a seconda della propria sensibilità, ciò non toglie che sia rimasta molto soddisfatta di quello che ho letto».
Hai saputo di essere la favorita per l’Intelligenza artificiale? Non so se hai letto le pagelle stilate ChatGPT…
«Tanto per cominciare, ringrazio ufficialmente l’intelligenza artificiale per la fiducia, anche se devo ammettere di essere stata attaccata al ferro per ore come una calamita dopo aver letto questa cosa (ride, ndr). Comunque sia, viva la sensibilità e viva la fragilità umana, perché altrimenti sai che paura…».

Dopo la data al Fabrique di Milano del 17 aprile partirà il tuo tour nei club, sarà un 2024 ricco di tanta musica dal vivo?
«Sì e non vedo l’ora. A partire da ottobre tornerò nei club, luoghi un pochino più grandi rispetto all’anno scorso, ma sempre club, perché voglio continuare a guardare in faccia le persone. Così ci faremo un altro bel giretto d’Italia, anche se più che un tour sarà un duetto collettivo con il pubblico, perché già lo è stato l’ultima volta e spero si possa bissare. Mi piace cantare nei posti più accoglienti, anche perchè il mio obiettivo è riuscire a godermi ogni singolo momento di questa carriera che si sta sviluppando e che speriamo possa crescere sempre più, ma senza fretta… perchè ho 22 anni e non voglio saltare nessun passaggio, al di là di come andranno in futuro le cose».
Facendo un balzo indietro nel tempo, quali sono i tuoi primissimi ricordi di Sanremo?
«Ho sempre vissuto Sanremo in maniera molto attiva, devo ammettere che è un qualcosa che mi ha sempre divertito. Alla fine, diventiamo tutti un po’ giudici durante la settimana del Festival, io stessa ammetto di essermi messa spesso davanti alla tv con il mio quadernetto per scrivere i voti. Oggi che la vivo dall’interno, mi rendo conto che non tenevo conto di quanto lavoro c’è dietro e di quanta responsabilità un artista avverte prima di salire su quel palco. In generale ho sempre amato la tradizione di Sanremo e poi l’ho anche vissuta in maniera molto ravvicinata, sin da piccola perché comunque aveva a che fare con la mia famiglia. La prima volta che tutti e due i miei genitori sono stati a Sanremo avevo l’orecchio rotto, perché ballando mi ero fatta male. Quindi il mio primo ricordo di Sanremo è piuttosto terribile, speriamo che questa volta le cose vadano decisamente meglio (sorride, ndr)».
Per concludere, cosa ti spaventa e cosa ti rassicura dell’esperienza che stai per affrontare?
«Sarò molto schietta, ma ho una canzone in cui credo fortemente, così come credo in me stessa, altrimenti non sarei qui e non avrei avuto neanche il coraggio di presentarmi. In più credo nel mio team e in chi ho attorno, nell’ultimo anno mi sono circondata di persone a cui tengo e di cui mi fido. Quindi, le carte per andare lì e stare il più tranquilla possibile ce le ho. L’unica variabile può essere l’esibizione, quindi metto in conto il “fattore-ansia”. Quel palco fa paura, ne sono consapevole, ma sono anche convinta di una cosa: col tempo ho capito che i palchi sanno essere anche curativi, al punto che ogni volta l’agitazione va via, anche quando mi è capitato di cantare con 39 di febbre. Sul palco sto bene e spero che quello dell’Ariston non rappresenti un’eccezione, ma che sia il king dei palchi curatori. Ciò che mi aspetto è di riuscire a domare la tensione per cercare di trasmettere a tutti ciò che ho dentro».
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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