La nostra intervista a Colapesce Dimartino in occasione dell’uscita del nuovo album “Lux Eterna Beach”, fuori il prossimo 3 novembre per Numero Uno / Sony Music Italy.
Un gradito ritorno per il duo che si è distinto nel corso della 73esima edizione del Festival di Sanremo, guadagnandosi sia il Premio della Critica Mia Martini che il Premio Lucio Dalla attribuito dai media Radio-Tv-Web con il brano “Splash“.
Un anno ricco di soddisfazioni per Lorenzo Urciullo e Antonio Dimartino, che si sono aggiudicati altri prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Nastro D’Argento per la “migliore colonna sonora originale” e il Globo d’Oro al loro esordio cinematografico con il film “La primavera della mia vita”.
Un momento fortunato per i due cantautori siciliani, che abbiamo incontrato per approfondire i loro rispettivi stati d’animo alla vigilia dell’uscita di “Lux Eterna Beach”.
Intervista a Colapesce Dimartino
L’ascolto del disco si apre con “La luce che sfiora di taglio la spiaggia mise tutti d’accordo”, che rappresenta un po’ il manifesto della vostra libertà artistica. C’è stata da parte vostra la volontà di destrutturare una certa rigidità e di tornare ad una più creativa flessibilità della forma canzone?
«L’abbiamo fatto in maniera involontaria, se c’è stata è stato un passaggio involontario. Questo pezzo l’abbiamo trattato allo stesso modo dei singoli, senza alcun principio sovversivo. Abbiamo seguito il flusso della canzone che richiedeva più tempo, così glielo abbiamo concesso. A volte è il testo stesso che ti suggerisce anche la durata, così non ci volevamo precludere nulla per farlo rientrare all’interno di un canone preciso, diciamo standard, rappresentati dai classici tre minuti. C’è qualcosa di molto simbolista tra le righe del testo, a noi piace l’idea che dietro ogni parola e ogni immagine ci sia sempre un significato».
In “Sesso e architettura” indagate nelle dinamiche delle relazioni di coppia, con quel “Restiamo insieme finché dura” che rimanda un po’ a un tema ricorrente del disco, quello del “qui e ora”, del vivere il momento. Anche per ciò che riguarda i “rapporti a due” avvertite al giorno d’oggi un certo peso delle aspettative?
«Siamo partiti dall’idea del titolo che ci piaceva molto, perché pensiamo che l’architettura influenzi lo spazio che vivi, rapporti compresi. In qualche modo, questo concetto racchiude il soggetto del brano. Effettivamente questo è un disco di “qui e ora”, ci siamo immaginati in questo limbo a meditare. Infatti, un altro aspetto fondamentale è legato alla meditazione che, in questo momento storico in cui siamo soggetti a tantissimi input, in realtà può rappresentare una fonte di salvezza. L’unico tempo che ci può salvare è il presente».
Tematiche sempre molto contemporanee anche per “Ragazzo di destra”, che descrive un altro spaccato della nostra società. Qui viene fuori in maniera predominante quella che credo sia una delle prerogative della vostra poetica: la mancanza di un giudizio. Voi esponete i fatti e li raccontate anche attraverso l’ausilio di immagini. Più che “canzoni di denuncia”, le vostre sembrerebbero opere illustrate…
«L’idea del giudizio che dici è giusta, in questo pezzo non vogliamo giudicare i ragazzi di destra, anzi alla fine parliamo di un ragazzo di destra, senza generalizzare. È una canzone che non ha intenti politici, ma poetici. In più raffigura un momento, una storia che parla di paura e di solitudine, anche attraverso l’utilizzo di stereotipi e di un lessico che appartiene più a degli slogan. Abbiamo letto degli articoli che hanno travisato il senso di questa canzone, giudicandola anche ironica, oppure priva di significato e, giudicante verso il movimento. In realtà, abbiamo semplicemente raccontato una storia».
In “Trentamila euro” ci invitate a riflettere sul tema della felicità, sottovoce come siete soliti fare. Specie in un’epoca come questa, credete anche voi non sia facile trovare un equilibrio tra il superfluo e il necessario?
«Sì, questa è un’epoca in cui non si distingue il reale. In un momento in cui con l’intelligenza artificiale puoi cambiare il volto a un capo di stato e fargli dichiarare guerra a un altro Paese, l’idea del reale è qualcosa che viene meno. Probabilmente si arriverà a un procedimento di sottrazione, forse siamo arrivati a un punto in cui la gente avrà bisogno di cose reali e si tornerà a parlare di incontro. “Trentamila euro” è una canzone a cui siamo molto legati, ci piaceva l’idea di aprire una canzone citando dei soldi, cosa tipica più per un trapper che per un cantautore. Poi, però, il discorso si sposta subito da un’altra parte, per virare sui trentamila giorni che sono all’incirca 82 anni. All’inizio il titolo doveva essere proprio “82 anni”, ma “Trentamila euro” era certamente più efficace».

E poi in scaletta arriva “Considera”, una delle proposte più interessanti pubblicate nell’estate appena trascorsa. Pop sì, ma di contenuto…
«È una canzone un po’ di passaggio nel nostro percorso, perché arriva dopo “Splash” ed è uscita in estate, non è un singolo estivo, ma un brano pubblicato in quel periodo lì. Per questo motivo è stata una sfida per noi, realizzare una proposta con un contenuto da far uscire in un momento in cui la gente il contenuto lo considera ancora meno del solito. Siamo contenti del risultato e di averla inclusa anche nel disco, perché fa parte della stessa narrazione. Il pezzo inizia con la frase: “non ho mai imparato l’inno nazionale”, che rappresenta comunque una dichiarazione di intenti».
Veniamo al gioiellino del disco, vale a dire “I marinai”, un brano inedito di Ivan Graziani, rimasto a lungo in un cassetto. Ci raccontate come vi è arrivata questa canzone e qual è stato il vostro approccio? Il risultato è sia eccezionale che molto rispettoso…
«Intanto grazie per queste parole. Questa canzone è arrivata per merito della nostra etichetta, la Numero Uno, e grazie a Filippo, figlio di Ivan Graziani. Lui è venuto in studio a trovarci e quando abbiamo sentito il pezzo ci siamo subito innamorati del testo. All’inizio il brano era composto da due strofe cantate da Ivan, con la parte centrale che aveva solamente un’idea di ritornello, che noi abbiamo completato e messo sul finale, impreziosito da echi alla Beatles. Sul finale è presente un coro di pescatori che lo stesso Graziani aveva invitato a registrare a casa sua, non a caso la canzone era dedicata ai pescatori di Fano. Non possiamo nascondere che eravamo un po’ intimoriti all’idea di lavorare questo pezzo, perché Ivan Graziani è uno dei nostri cantautori preferiti, dotato di una scrittura che risulta ancora oggi molto attuale».
Prima accennavamo a questa vostra attitudine alla scrittura per immagini e a proposito di questo aspetto cinematografico, mi ricollego al film “La primavera della mia vita” che si è aggiudicato numerosi riconoscimenti, tra cui Il Nastro D’Argento per la “migliore colonna sonora originale” e il Globo d’Oro. In che termini questa esperienza sul grande schermo ha influito nella lavorazione in studio?
«C’è tanto della colonna sonora del film, compreso un approccio alla registrazione fatto dalla stessa squadra composta da noi due e dagli stessi produttori Giordano Colombo e Federico Nardelli. Quindi siamo noi quattro che suoniamo ed è come se non ci fossimo mai fermati da quando abbiamo iniziato a lavorare alla colonna sonora a quando abbiamo chiuso il disco, infatti sono molte le sonorità che tornano. La colonna sonora forse è stata propedeutica per certi versi, ci ha preparato meglio a capire delle cose anche del sound di “Lux Eterna Beach”. Questi due progetti dialogano, in modo del tutto naturale. Il fatto di avere vinto dei premi così prestigiosi, ci riempie di orgoglio perché si tratta della nostra prima incursione all’interno del mondo cinematografico e rappresentano un incentivo per continuare a fare altre cose».
Per concludere, a proposito del desiderio di non avere canoni e paletti, questa è una scelta che vi ha premiato e vi sta premiando, e che vi ha permesso di mettere d’accordo sia la critica che il pubblico, sia con pezzi più immediati che con brani non da primo ascolto. Qual è il vostro segreto?
«Prima di cominciare a lavorare insieme, in realtà, abbiamo entrambi frequentato una lunga palestra di più di dieci anni di carriera. Anche da soli siamo sempre andati in questa direzione, provando ad unire la forma canzone classica con un messaggio, realizzando brani dotati sempre di una doppia lettura. Per quanto ci riguarda, sarebbe un vero peccato utilizzare male quei tre minuti dicendo delle cose effimere. Forse non siamo tanto votati alla musica di intrattenimento, ma veniamo da un background cantautorale dove il significato assume una valenza importante. Non parlo solo di testo, ma può essere anche una scelta sonora. La canzone è un insieme di cose, è fatta di tanti piccoli equilibri sottili e anche invisibili, al punto che se togli un avverbio e metti una congiunzione… cambia completamente tutto. Questa cosa è sia stimolante che affascinante, perché capita di restare fermi intere settimane a ragionare su qual è l’esatta combinazione per permettere a quel pezzo di durare nel tempo. Almeno per noi, perché alla fine non abbiamo la pretesa di scrivere canzoni immortali, ci basta essere soddisfatti di pezzi che dovremo poi cantare per anni, possibilmente senza vergognarci. Il nostro obiettivo è sempre stato questo: andare a letto sereni».
Video Intervista a Colapesce Dimartino
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.