A 40 anni dal suo primo concerto a Milano, Bruce Springsteen torna a San Siro per un live sold out. Tra energia inesauribile, messaggi politici e grandi classici, il Boss dimostra che il rock può ancora scuotere coscienze e cuori.
“Ciao Milano! Siete pronti? Siete pronti?!”. Così Bruce Springsteen ha salutato un gremito Stadio San Siro poco prima delle 20, per la sua nona volta nel tempio del calcio italiano. Un sold out da 58.131 presenze per un concerto che ha avuto il sapore della celebrazione, ma anche della resistenza. A quarant’anni esatti dal primo show milanese del 1985, il Boss è tornato per rivendicare, ancora una volta, la forza della musica come atto politico e spirituale.
Un concerto atteso, rinviato di un anno a causa di problemi di salute, ma che non ha tradito le aspettative. Anzi, Springsteen – 75 anni, elegantissimo in gilet e cravatta – ha dimostrato che l’età è solo un numero quando si ha ancora qualcosa da dire. E lui, sul palco con una E Street Band in piena forma (incluso Little Steven, rientrato dopo un’operazione), ha fatto molto più che cantare: ha arringato, ha denunciato, ha unito.
Ad aprire la serata sono “No Surrender” e “My Love Will Not Let You Down”, in un’atmosfera già infuocata. Ma è con “Land of Hope and Dreams” che lo show prende davvero forma. Il brano, inciso nel 2012 ma scritto anni prima, diventa manifesto del concerto e del momento storico: “Benvenuti nel tour della terra della speranza e dei sogni”, urla Springsteen. “La potente E Street Band è qui per invocare il potere virtuoso dell’arte, della musica, del rock’n’roll in tempi pericolosi”.
Sul megaschermo scorrono le parole della canzone, che diventano quasi una preghiera laica: “Incontrami in una terra di speranza e di sogni… lascia indietro i tuoi dolori. Domani splenderà il sole”. Parole che il pubblico accoglie come un balsamo, in un mondo che sembra aver perso la bussola.
Ma il Boss non si ferma alla poesia. Prende posizione, senza mezze misure. Denuncia un’America “nelle mani di un’amministrazione corrotta, incompetente e traditrice” e invita tutti a far risuonare la propria voce contro l’autoritarismo. “A casa mia stanno perseguitando le persone che esercitano la libertà di parola. I nostri rappresentanti hanno fallito nel proteggerci. Ma io ho speranza, perché credo che ci sia ancora abbastanza umanità”.
Parole pesanti, pronunciate con chiarezza, mentre scorrono i sottotitoli in italiano. È una dichiarazione d’amore per il proprio Paese, ma anche una presa d’atto dolorosa. E anche quando ricorda le sue radici artistiche con brani come “Long Walk Home”, “Rainmaker” o “My City of Ruins”, è sempre il presente a dominare il racconto. Ogni canzone è un pezzo di un discorso coerente, che lega musica e attualità.
Il concerto dura quasi tre ore. Springsteen non si risparmia: canta, corre, scende dal palco, abbraccia i fan, regala un’armonica. San Siro è una marea umana che risponde a ogni gesto, a ogni accordo. Il rock diventa rito collettivo, memoria condivisa, resistenza culturale.
Non è solo un concerto, quello andato in scena a San Siro. È un atto d’amore verso la musica, verso il pubblico, verso la democrazia. Bruce Springsteen, oggi più che mai, si conferma non solo una delle ultime grandi icone del rock, ma anche una voce lucida e appassionata capace di parlare al presente.
E giovedì 3 luglio, si replica. Sempre a San Siro. Sempre sold out. Perché il Boss ha ancora tanto da dire.

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