Deddè

Intervista a Deddè che, dopo l’esperienza ad Amici, torna con un singolo che sfugge ai cliché dei tormentoni estivi e conquista per profondità e ispirazione. D’estate è un brano che parla di incontri fugaci e indelebili, di leggerezza e malinconia, di libertà e smarrimento.

L’artista ci racconta il percorso degli ultimi mesi, l’importanza della scrittura per immagini, il ruolo delle sue radici partenopee e il rapporto con la sua voce – autentica, riconoscibile, unica.

Un viaggio tra canzoni, emozioni e identità, alla scoperta di un giovane cantautore che ha ancora tanto da dire.

Intervista a Deddè

Deddè, partiamo da questi ultimi 12 mesi così intensi. Come li descriveresti?
E’ stato un anno abbastanza intenso. A dicembre sono entrato nella scuola di Amici e ci sono rimasto per circa quattro mesi. Poi, una volta uscito, ho continuato il mio percorso suonando in giro. Da circa un mese è partito anche il mio summer tour, quindi sto portando la mia musica in giro per l’Italia. Sono molto felice di tutto ciò che sta succedendo.

Ad Amici abbiamo conosciuto una parte di te anche grazie al singolo Periferia. Che cosa rappresentava per te quel brano? E quanto sei cambiato nella scrittura da allora?
Periferia è un brano a cui sono molto legato, anche se l’avevo scritto due anni prima di entrare ad Amici. Già allora lo consideravo abbastanza maturo dal punto di vista della scrittura. Da allora credo di essere cresciuto: tecnicamente si può sempre migliorare, ma penso che siano proprio i concetti semplici quelli che arrivano dritti. Periferia è arrivato a tante persone proprio per questo.

Parliamo ora di D’estate, il tuo nuovo singolo. Un brano che racconta di incontri fugaci ma indelebili, lontano dai classici tormentoni. Come nasce?
D’estate rappresenta quella leggerezza estiva che è difficile trovare in altre canzoni. Ho voluto raccontare quei momenti belli che però non capitano tutti i giorni. La frase simbolo è proprio “succede solo d’estate”. Prima di scriverlo mi sono chiesto: “Cosa succede solo d’estate?” E da lì è nato tutto quello che si sente nel pezzo. È perfetto anche per chi ama le parentesi brevi nella vita. C’è una frase che dice “se poi da giugno mi lasci, a settembre ritorni”: è un classico racconto estivo, raccontato però con leggerezza.

Uno degli aspetti più interessanti del brano è il sound: fresco, attuale, tra pop mediterraneo e urban, con una punta malinconica. Com’è stato trovare questo equilibrio?
In realtà D’estate è nata chitarra e voce. Poi con Room9 abbiamo sentito la necessità di darle più movimento, un groove. E così abbiamo creato questa esplosione di estate, con un suono molto italiano, molto acceso.

Quanto sei coinvolto nei processi di produzione, una volta che hai la base voce-chitarra?
In generale, per ogni brano del mio progetto, tendo sempre a metterci mano sia dal punto di vista musicale che non. Anche in questo caso ho cercato di lasciare la mia impronta, pur lavorando con altri. Cerco sempre di far sentire che ci sono.

Nel testo si avverte una doppia anima: lucida ma anche malinconica, con immagini evocative. Quanto è importante per te scrivere “per immagini”? Hai dei riferimenti?
Sì, credo di essere cambiato tanto nella scrittura. Sono cambiati anche i miei gusti musicali: oggi mi sento molto più legato al cantautorato, cosa che da piccolo non sentivo. Questo mi ha aiutato a crescere e ad ampliare anche la mia visione, il mio modo di raccontare.

In D’estate si percepisce un senso di libertà ma anche di smarrimento. Dove sta il confine tra le due sensazioni?
È una soglia molto sottile. Come racconto nel brano, è molto facile perdersi e altrettanto facile ritrovarsi. È semplice sentirsi liberi, ma è altrettanto semplice smarrirsi, anche magari perdendo una persona importante.

Hai una voce molto riconoscibile e matura. Come hai lavorato per svilupparla?
Sicuramente Amici è stato fondamentale: è la prima volta in cui ho studiato così tanto canto. Ho imparato a conoscere meglio la mia voce e a prepararmi per esibizioni più grandi. L’originalità nella voce, però, penso sia qualcosa con cui si nasce. L’identità si può trovare, ma l’originalità vocale è difficile da costruire. Una lezione importante che mi hanno insegnato è: “bisogna cantare come si parla”. E io lo tengo sempre in mente.

Le tue radici partenopee si sentono nella tua musica, anche se filtrate da uno stile personale. Quanto contano per te le origini?
Contano tantissimo. Quest’anno è stato il primo in cui sono stato completamente fuori da Napoli, prima per Amici, poi perché mi sono trasferito a Milano. Mi è mancata molto. Napoli per me è fonte d’ispirazione, è la mia realtà più vera. Anche se ora non ci vivo per motivi di crescita personale e lavorativa, so che in futuro, con una stabilità diversa, ci tornerò.

Parliamo di futuro: oggi per un artista giovane ha ancora senso pensare a un album?
È una domanda difficile. Dipende. Ma credo che se arriva il momento giusto, e c’è qualcosa di forte da comunicare, allora sì, ha senso fare un album.

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