Laura Pausini Durare

La recensione di Durare, il nuovo singolo di Laura Pausini, apripista di Anime parallele, il quattordicesimo album in studio dell’ugola romagnola, disponibile dal prossimo 27 ottobre.

La “musica pop”, così come la conosciamo, attraversa ciclicamente periodi di altalenante splendore, minacciata da correnti musicali i cui esponenti sono spesso più compatti rispetto agli artisti della precedente generazione, gli stessi che per decenni hanno portato avanti la bandiera italiana nel mondo. Almeno qui da noi, in molti soffrono oggi delle conseguenze di un inevitabile ricambio generazionale, avvenuto con lo streaming prima e con il Festival di Sanremo subito dopo. Il concetto di mainstream è in continua evoluzione e le regole del gioco mutano senza sosta, al punto che inseguire le mode non è detto che sia la scelta più efficace.

In questa corsa eccessiva al rinnovamento, forse vince chi resta più fedele a se stesso. È proprio quello che viene da pensare ascoltando “Durare”, canzone che ci restituisce una Laura Pausini in grande spolvero. “La solita solfa”: potrebbero storcere il naso alcuni. “Finalmente ciò che vogliamo da lei”: ribadirebbero altri. Bene, a partire dal concetto che chi divide ha sempre qualcosa da dire, mi domando perché se un artista pop ripropone il proprio stile, lo stesso espresso nei decenni precedenti, viene apostrofato di “vecchio stampo”, mentre se lo fa un nome nuovo è considerato avanguardista?

Pensiamo allo smisurato successo di Tananai, sia “Tango” che “Abissale” sono due ballate che avrebbe potuto benissimo cantare anche Tiziano Ferro vent’anni fa, riscuotendo magari lo stesso successo. La verità è che la gente ha costante bisogno di canzoni d’amore, perché in quella stessa retorica si rispecchia il senso della nostra intera esistenza. Gli artisti della “non new generation”, chiamiamoli così per non sembrare scortesi, non devono sentirsi schiavi di certe ritrosie, altrimenti rischierebbero di restare ancorati al desiderio smodato di identificarsi in un trend, sminuendo di conseguenza la loro storia.

Ecco, un’artista come Laura Pausini, che continua a riscuotere importanti consensi in giro per il mondo, in Italia si ritrova improvvisamente destituita del titolo di regina del pop. All’estero hanno forse un’idea più chiara della nostra identità artistica: siamo conosciuti e amati a livello internazionale per la melodia e per il bel canto, anche se tendiamo spesso a dimenticarlo. Qui da noi, per interi decenni il monopolio di questo filone musicale non è mai stato messo in discussione, ma negli ultimi anni ha subito una battuta di arresto causata dal fervore artistico di una nuova ondata di interessanti proposte. Un po’ come era capitato alle stessa Laura nel ’93, quando veniva considerata la “novità” del momento, a discapito di nomi che in quel frangente venivano accantonati per lasciare il passo a qualcosa di nuovo. Inoltre, bisogna considerare che il pubblico di oggi è costantemente bersagliato da molte più uscite rispetto al passato e che la fascia di riferimento di chi muove realmente il mercato si è spostata, come è giusto che sia, nelle mani dei più giovani.

Tutto ciò ha spinto Laura e molti suoi colleghi a cercare nuove strade, come se non si volesse scontentare nessuno, rivolgendosi sia ai teenager che ad un pubblico più adulto. Il risultato? Un ibrido che a volte non convince né la generazione X, né quella Y, né tantomeno quella Z. Ebbene sì, la credibilità è un fattore considerato importante anche nel 2023. Dal canto suo, però, la cantante romagnola può vantare uno zoccolo duro di sostenitori acquisiti e coltivati negli anni e, perché no, magari ritrovarne alcuni persi per strada. In tal senso, “Durare” ha la tutte le carte in regola per strizzare l’occhio ad un pubblico più maturo, gli stessi ex adolescenti che negli anni ’90 trascorrevano interi pomeriggi ad ascoltare “Le cose che vivi” o che circa vent’anni fa erano soliti consumare “Resta in ascolto” nei primi modelli di iPod messi in commercio.

Certamente non è un bene star fermi per troppo tempo, anche perché le logiche promozionali sono profondamente cambiate, fino a vent’anni fa l’attesa creava suspense e aveva un senso. Gli artisti sparivano, nessuno li vedeva e li sentiva per un paio di anni, mentre oggi non è più così, i social network hanno favorito il presenzialismo, per cui conta esserci a prescindere da tutto. Di conseguenza, un personaggio conosciuto “deve” far vedere ai propri follower di saper fare bene la pizza, mostrare quanto sono belle le scarpe nuove e sfoggiare le foto dell’ultima gita in montagna. Diciamo pure che le regole dell’hype sono decisamente diverse.

Tutto questo preambolo per arrivare a “Durare”, perché sono dell’idea che non si può giudicare un ritorno discografico di peso come questo senza considerare il contesto. Questo articolo vuole anche essere una riflessione ad alta voce sul percorso di Laura Pausini, ma anche un’analisi sull’attuale momento storico. Veniamo ora alla recensione del singolo.

Laura Pausini Durare singolo

La recensione di “Durare” di Laura Pausini

Basta il suono di una vera orchestra per restituire all’ascolto un sapore senza tempo, un po’ come la rugiada che evapora e lascia nell’aria una piacevole freschezza. Una ballad che racconta la quotidianità di una relazione, a dimostrazione che a parlare di sentimenti non si commette mai un errore, soprattutto se a farlo è una delle nostre migliori interpreti, abile nel calibrare ogni singola parola con la massima autenticità. 

Uscita da poche ore, “Durare” è già da considerare un evergreen del repertorio di Laura, perché con le sue sonorità genuine e il suo linguaggio semplice rischia di risultare attuale anche tra trent’anni, proprio come accaduto alla canzone che ha segnato il suo debutto: “La solitudine”. Il plauso, va precisato, è da condividere con i due giovani autori Paolo Antonacci e Edwyn Roberts, coadiuvati da Michelangelo e Paolo Carta nella produzione.

Rimandato il tempo delle sperimentazioni, Laura Pausini sceglie come singolo di copertina del suo nuovo progetto disco un brano evocativo e fortemente significativo. Qui viene fuori la sua grande vena interpretativa, che ammicca in qualche modo al mondo di Fiorella Mannoia. Ecco, ad esempio, il nome di un’artista che non ha mai perso la sua bussola e che ha sempre avuto chiara la direzione, a dispetto delle mode. Aggiungiamoci il guizzo “alla Vasco” presente nelle strofe e le liriche “alla Fossati” dell’inciso, il risultato è un raffinato pop d’autore che attinge dal passato e che richiama qua e là qualcosa di “Sally”, quasi come se il verso “c’è una notte stellata tra le ciminiere” diventasse un po’ una domanda ed “è tutto un equilibrio sopra la follia” la risposta.

Una bella retrospettiva sul tema delle relazioni che non sposano banali cliché come l’eternità: per interi decenni la musica italiana del dopoguerra si è concentrata su concetti tipo “ti amo e staremo insieme per tutta la vita”. Un pezzo esistenzialista come “Durare” va oltre questo tipo di retorica, spostando la narrazione su considerazioni più concrete, sdoganando anche il concetto di normalità sin dalle prime battute. Un brano-manifesto contro le abitudini che, a lungo andare, tendono a logorare un rapporto di coppia. Non resta che scegliersi ogni giorno, abbandonare paletti e concedersi in libertà. Desiderarsi, inventarsi, capirsi e provare a dividersi un destino che, attenzione, non vuol dire per forza annullarsi e non avere delle ambizioni proprie, ma al contrario costruire insieme una sorta di rifugio in cui sentirsi al riparo dal resto del mondo.

Unica nota stonata di tutta questa “faccenda” è che un pezzo come “Durare” sarebbe stato perfetto per Sanremo e secondo me, lo dico senza giri di parole, avrebbe potuto vincere a mani basse. Purtroppo questo discorso si scontra con il parere contrario espresso più volte da Laura Pausini, nata artisticamente in Riviera, ma che è rimasta probabilmente ancorata ad un’idea obsoleta del “tutto da perdere”, mentre i Festival targati Amadeus hanno espresso il senso opposto del “tutto da guadagnare”. Quella di oggi non è più la stessa rassegna di dieci anni fa, così come il mercato e i riscontri discografici. Non basta più avere una bella canzone, serve presentarla nel modo giusto e un pezzo del genere, abbinato alla straordinaria orchestra, in quel contesto avrebbe brillato di luce propria.

Non possiamo certo negarlo, Sanremo è tornato ad essere un ottimo amplificatore, al punto che la classifica stessa è diventata quasi relativa. Qualsiasi partecipante raddoppia o addirittura triplica i risultati che avrebbe ottenuto senza l’esposizione sul palco dell’Ariston, sia se parliamo di campioni delle vendite come Lazza o Blanco che di un artiste importanti come Giorgia ed Elisa, giusto per fare due esempi analoghi, che nelle ultime edizioni sono tornate in gara a più di vent’anni di distanza dalle volte precedenti. Non hanno vinto, ma i consensi che hanno ricevuto sono stati nettamente superiori a quelli che avrebbero ottenuto senza quel passaggio.

La differenza, in ogni caso, la fa sempre la canzone e “Durare” sarebbe stata una valida scelta. Sanremo non è più quello di dieci anni fa, dicevamo, e la dimostrazione è data dal fatto che il Festival si è aperto ai giovani. Mia nipote di dieci anni conosce Anna Oxa e non Laura Pausini, ma solo perché la prima ha partecipato quest’anno alla kermesse, non per altro. Questo non può che essere sintomatico dei tempi. Marco Mengoni è la dimostrazione che, con il brano giusto e l’atteggiamento giusto, Sanremo lo puoi vincere anche con un titolo già in tasca e tutti che ti danno per favorito… cosa che non porta mai fortuna, anzi.

Festival a parte, l’augurio è che “Durare” possa trovare comunque il giusto spazio in un bailamme discografico sempre più complesso. In tal senso, si tratta di una canzone preziosa, di una proposta da difendere con le unghie e con gli stream, perché al suo interno possiede un valore indefinibile e terapeutico. Questa è musica da proteggere, ripeto, da conservare in una teca come un rarissimo bonsai, perché rappresenta un invito ad un esercizio salutare e salvifico, a cercare le risposte più all’interno che all’esterno. Forse il segreto sta proprio in questo, perché lasciarsi andare completamente ad una relazione prescinde dallo stare bene con noi stessi.

Spesso nelle canzoni si tende ad elogiare l’eternità, concetto che nulla ha a che vedere con la vita stessa, focalizzando l’attenzione più sul legame che sul sentimento. Laura Pausini ci invita a riflettere sulla sostanza, a scavare in profondità e non fermarci in superficie, puntando tutto su voce e cuore. L’artista riesce nell’intento di scaturire emozioni, ma anche dissenso e pareri neutri. Questo, signori, fa parte del gioco vizioso delle sette note, un aspetto da mettere sempre in conto. Ma se andiamo ad analizzare la capacità e il potenziale che “Durare” ha di infondere serenità in chi lo ascolta, beh… allora assistiamo ancora una volta al vero e proprio miracolo della musica. Scusate se è poco.