Zeep

Sottocassa“, distribuito da Ada Music Italy, è il nuovo singolo di Zeep, giovane talento della nuova scena musicale italiana, che torna con un brano che è un manifesto per i ragazzi di provincia, per quelli che “ci vediamo al bar di sempre”, che magari passa tutto.

“Metti la maglia più brutta che hai in un giorno di nuvole, che oggi fa schifo, ma tutto si supera.”

Perchè ci hanno detto che sotto cassa non si piange mai, che i ragazzi non piangono mai, ma forse non era vero. E allora urliamo al cielo anche se non ci sente, e se non ci restano desideri da esprimere avremo almeno le stelle da guardare.

Il brano, scritto con Alex Vella (Raige) e Francesco Perrelli (Keezy), è prodotto da Kaizén e Marco Azara e continua il percorso iniziato con “Scusa x il disordine“, in pieno stile indie-rock perfetto per piangere e saltare a un concerto.

Intervista a Zeep

Cosa rappresenta il brano “Sottocassa” nel tuo percorso artistico?

Credo che scrivere “Sottocassa” sia stato quasi più importante per la mia crescita personale che per quella artistica. Faccio fatica a esprimere certe cose a parole, soprattutto con le persone che mi stanno vicine, forse proprio perché sono cresciuto con l’idea che i ragazzi non piangono, o almeno non davanti a tutti. E poi è una canzone divertente da fare in live, soprattutto con la band. Fa sfogare sia me che il pubblico.

Qual è il valore aggiunto e quale il limite di una vita vissuta in provincia?

Quando cresci in provincia vivi in una bolla in cui tutto è amplificato. Dai peso a un sacco di cose che normalmente non di interesserebbero, soprattutto al giudizio di chi hai attorno. Però c’è anche una magia di fondo: gli amici di una vita, le partite di calcio che durano pomeriggi interi, i giri in motorino e le panchine che sanno tutte le nostre storie a memoria. In provincia ti inventi qualsiasi cosa per scappare o per svoltare la giornata. Ti forma la fantasia e ti fa apprezzare la noia.

Com’è nato il brano e come si è sviluppata la collaborazione con Raige?

Avevo in testa da un po’ la frase “I ragazzi non piangono mai”; è saltata fuori durante una session con Keezy (Francesco Perrelli) e ci ho costruito attorno gran parte della canzone. Durante un camp di scrittura in Abruzzo insieme ai ragazzi di Cvlto ho fatto ascoltare la bozza anche a Raige, che ha dato il colpo di tacco che mancava al brano. Avevamo già scritto canzoni insieme, per me e per altri artisti, ed è sempre un piacere oltre che una grande scuola.

Come definisci il genere musicale a cui ti ispiri?

Potrei fare mille giri di parole, ma alla fine dei giochi è sempre cantautorato. Le ispirazioni sono tantissime e provo a rubare qualcosa da tutti i generi che ascolto: rap, pop, canzone d’autore, brit pop, latin. Poi Spotify mi definisce Indie, che è un bel calderone di idee, e devo dire che mi piace.

Qual è l’aspetto della tua musica che ti rende particolarmente orgoglioso?

Sicuramente le parole. Non perché siano oggettivamente belle o particolarmente poetiche, ma perché sono giuste per quello che voglio dire. Poi ognuno ci legge un po’ quello che vuole. Le canzoni non sono mai a senso unico ed è bello così. E poi le strumentali, che accompagnano perfettamente le mie storie. Kaizén ormai è la mia spalla da un bel po’ e capisce perfettamente il mood che vorrei avere nei brani. Tutto l’EP “Scusa x il disordine” è prodotto da lui e da Marco Azara, che ha dato un bel boost ai brani.

Se dovessimo incontrarci tra un anno quale obiettivo vorresti avere raggiunto?

Vorrei aver scritto una di quelle canzoni immortali. È un periodo di musica veloce e di culto della performance, ma le belle canzoni alla lunga vincono sempre. E poi ho lasciato uno spazio libero sul muro del soggiorno per un disco d’oro, perché comunque sono abbastanza materialista e egocentrico.

Quale direzione sta prendendo ora la tua musica?

Cresce con me e cambia come cambio io. Lo scopo sarà sempre quello di raccontare i fatti miei a più persone possibili, perché quando condividi le ansie pesano meno e la felicità vale il doppio. E poi vorrei che ci fosse sempre di più la componente “suonata”, con strumenti veri. Già in “Sottocassa” ho voluto inserire, oltre alle chitarre, anche delle batterie vere (Mirko Pili) e il basso (Marco Obbo). Sembra scontato, ma non lo è.

Quale può essere il ruolo dell’intelligenza artificiale nell’arte?

L’AI mi affascina e mi spaventa allo stesso tempo. Può essere un ottimo strumento per cercare idee quando manca l’ispirazione, ma per il momento non può sostituire la parte emotiva dell’arte. Magari può simulare un sentimento collettivo, può suggerirti una similitudine, ma non può raccontare la tua prima cotta o l’ansia che hai provato per l’ultimo esame all’università. Non ancora, almeno.