Ultimo-Favola

Houston (oppure Ultimo), abbiamo un problema… o almeno in certi casi fa comodo credere che sia così. Avete presente il borbottio di una pentola di fagioli? Ecco, credo sia arrivato il momento di abbassarne la fiamma o, magari, di spegnerla del tutto… visto e considerato che questa non è affatto la stagione delle zuppe. Anche se, a onor del vero, ciò che è accaduto in questi giorni sa tanto di minestra riscaldata.

Primo Luglio 2023, Lignano Sabbiadoro, data zero del nuovo tour negli stadi di Ultimo: il golden boy del nuovo cantautorato non perde occasione per lanciare l’ennesima frecciata nei confronti della stampa italiana, allegando come diapositiva un bel dito medio.

L’artista esegue “Canzone stupida” e, alle sue spalle, un video proietta alcuni ritagli di giornale con frasi e titoli presi in prestito qua e là. Naturalmente vengono acquisite soltanto le critiche, mentre i giudizi positivi sono esclusi di proposito da questa bizzarra rassegna stampa, conclusasi con il terzo dito alzato in bella mostra.

Al di là della scarsa eleganza del gesto, dietro c’è ben altro. Una mossa per far parlare di sé? Io non credo, anzi sono certo che in cuor suo, il protagonista di questa vicenda si senta davvero parte lesa, in qualche modo perseguitato dall’intero ordine dei giornalisti, nessuno escluso. Ebbene sì, chi è convinto delle proprie motivazioni tende a fare di tutta l’erba un fascio e a disinteressarsi dalla realtà, oltre che dalle ragioni di chi sta dall’altra parte. 

Riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo le tappe di questo tormentato rapporto tra Ultimo e la stampa italiana: all’inizio, come in tutte le love story che si rispettino, è un vero e proprio idillio. L’artista si aggiudica il primo posto della sezione Nuove Proposte di Sanremo 2018 con “Il ballo delle incertezze”, con i favori e la benedizione anche della classe giornalistica, il cui voto pesa per il 30% sulla classifica finale. 

L’anno seguente la stampa mostra di avere altre preferenze rispetto a “I tuoi particolari”, che finisce per occupare comunque una buona sesta posizione dietro alle proposte di Simone Cristicchi, Arisa, Daniele Silvestri, Mahmood e la favorita Loredana Bertè, che per la cronaca arriva poi quarta scatenando i fischi dei presenti al Teatro Ariston. Nella finale a tre, il pubblico si schiera nettamente dalla parte di Ultimo, mentre la stampa riversa coerentemente la propria preferenza sul secondo artista della lista stilata in precedenza, non andando certo a pescare nel mucchio. Il che vuol dire una cosa sola: i giornalisti hanno votato per far vincere Mahmood e non per far perdere Ultimo, questo lo scrivo in grassetto perché si tratta di un passaggio chiave di tutta questa storia. 

Quello che accade poco dopo lo ricordiamo tutti, il cantautore romano si presenta in sala stampa visibilmente deluso, probabilmente aizzato dalle aspettative e incoraggiato da chi aveva intorno. Eppure la storia è piena di artisti che a Sanremo sono arrivati secondi e che non hanno mai vinto, pensiamo a Mia Martini, Renato Zero, Giorgio Faletti, Renzo Arbore, Little Tony, Milva, Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Nek, i Modà e gli Elio e le Storie Tese. E il povero Toto Cutugno che ha ottenuto per sei volte la medaglia d’argento cosa dovrebbe dire? Detto ciò, la delusione di un ventitreenne sul momento poteva anche starci, ma la cosa andava chiusa lì.

I media hanno continuato negli anni a seguire il cammino di Ultimo, elogiandone i record, ma senza risparmiare anche rimproveri e appunti, come si è soliti fare con tutti, sempre nel pieno rispetto del lavoro e dei ruoli. A proposito di ruoli, però, è doveroso precisare quello che è il reale compito dei giornalisti a Sanremo: fare cronaca. Qui mi riferisco alla celebre frase pronunciata dal protagonista di questa vicenda durante la già citata conferenza notturna dopo la finalissima di Sanremo 2019: “Voi avete questa settimana per sentirvi importanti e dovete sempre rompere er cXXXo”

Chiariamo bene la questione: i giornalisti a Sanremo sono ospiti, non vengono stipendiati dalla Rai e si trovano lì per svolgere il proprio lavoro che non è quello di esprimere un voto, a favore o contro che sia, bensì quello di raccontare ciò che accade, con tutte le difficoltà di un precariato che accomuna l’editoria a tanti altri settori in crisi. Poi, certo, qualche collega frustrato con manie di grandezza ci sarà pure, ma mi sento in dovere di difendere l’integrità del mio lavoro e di quello delle persone che frequento. Naturalmente, però, non su tutti potrei mettere la mano sul fuoco.

Rinfreschiamoci un attimo la memoria: la prima volta che la sala stampa è entrata a far parte delle dinamiche della gara del Festival risale al 2012, quando ai giornalisti viene affidata la possibilità di far scalare dei posti in classifica tramite la “golden share”, portando di fatto Noemi sul podio a discapito della coppia D’Alessio-Bertè. Dall’anno seguente, il voto della sala stampa ha cominciato stabilmente a far parte del meccanismo sanremese, in abbinamento con le altre giurie che si sono alternate di anno in anno, di regolamento in regolamento.

Per più di sessant’anni, però, i giornalisti a Sanremo ci sono andati per esercitare esclusivamente il proprio diritto di cronaca. Nel 1982 hanno istituito il Premio della Critica che, per tutta questa serie di ragioni, non è mai stato consegnato sul palco, proprio per sottolineare l’indipendenza dell’organo di stampa, aspetto che è solito ricordare il collega e decano Andrea Spinelli, presidente della Sala Stampa.

Negli ultimi dieci anni, ai giornalisti è stato affidato un ruolo, che in tutta onestà credo abbia portato un valore aggiunto rispetto ai monopoli esercitati nei decenni precedenti delle demoscopica prima e del televoto poi, per non parlare dei danni arrecati dalle opinabili giurie di qualità. Alla fine, però, si tratta di un servizio che i giornalisti prestano al Festival e non il contrario. Se un domani si decidesse di sollevare questi ultimi dall’incarico e dalla responsabilità del voto, la Sala Stampa sarebbe ugualmente piena di inviati pronti a portare a casa articoli e interviste. Come, tra l’altro, accade tutto l’anno e non solo in quella specifica settimana.

Fatta questa dovuta precisazione, conscio che sia un aspetto difficile da comprendere dall’esterno, torniamo al nocciolo della questione e arriviamo a Sanremo 2023. Ultimo ritorna in gara con “Alba” e viene accolto bene dai giornalisti che, dopo i consueti ascolti in anteprima, hanno attribuito all’artista una buona media-voto che oscilla tra il 7 e l’8. Al netto di qualche voce fuori dal coro, le pagelle sono tutte positive, a dimostrazione di una totale assenza di pregiudizio

La stampa è chiamata ad esprimersi nel corso delle prime di serate del Festival, al termine delle quali attribuisce a Ultimo il decimo posto che, su ventotto artisti in gara, non suona assolutamente come una crociata nei suoi confronti, ma come un semplice e univoco giudizio basato su una prestazione artistica. Quando subentra il televoto, però, la situazione appare nettamente differente rispetto a quattro anni prima, perché anche per il pubblico da casa il vincitore assoluto porta il nome di Marco Mengoni. Anzi, se proprio vogliamo essere pignoli, con il senno di poi, possiamo tranquillamente affermare che il quarto posto di “Alba” sia stato sovrastimato, considerando il destino che ha poi avuto la canzone rispetto alle altre proposte. Che dire di “Tango” che è arrivata una posizione sotto? Se c’è un errore commesso, questo è stato accidentalmente attuato nei confronti del brano di Tananai che, dati alla mano, avrebbe meritato sicuramente di più. Oltre alla vincente “Due vite”, completano il podio a cinque “Cenere” di Lazza e “Supereroi” di Mr. Rain, altri due brani che hanno ottenuto incetta di certificazioni e che, nel medio-lungo periodo, hanno confermato di aver meritato le rispettive posizioni. 

Sui presunti applausi in sala stampa e sulla manipolazione del voto contro Ultimo, posso tranquillamente affermare che si è fantasticato parecchio. Avete presente “Riccioli d’oro”, “Hänsel e Gretel”, “Pollicino” e “Il gatto con gli stivali”? Ecco, proprio come quella che vi sto raccontando, anche queste sono tutte favole. Come sarebbe stato possibile vincere Sanremo nel 2018, arrivare secondo nel 2019 e quarto nel 2023 con la stampa totalmente a sfavore? Vi prego, spiegatemelo! Non ditelo ad artisti come Zucchero e Vasco Rossi che al Festival hanno davvero frequentato i bassifondi delle classifiche. Ok stare dalla parte degli ultimi, ma non bisogna necessariamente sentirsi contro qualcuno per trovare un po’ di pace. O forse è l’esatto contrario?

Pensandoci bene, però, è un istinto umano quello di dover trovare a tutti i costi un antagonista, qualcuno da incolpare e con cui lottare. Vero è che Lupin non apparirebbe così simpatico se alle sue calcagna non ci fosse Zazà. Se ci riflettiamo e la vediamo da un punto di vista sociologico, sentirsi perseguitati da un qualcuno può essere stimolante, oltre che un abile pretesto per giustificare il mancato raggiungimento di un risultato. Alla fine, è sempre una questione di aspettative, oltre che di atteggiamento. La storia è piena di artisti che hanno peccato di poca umiltà e nel caso di Ultimo a Sanremo 2023 la discriminante è stata una sola: la mancanza di una proposta musicale degna di vittoria, perché il Festival lo si vince ancora con le canzoni, checché se ne possa dire o pensare.

Gli ultimi due progetti discografici del cantautore romano, infatti, si sono rivelati in termini commerciali al di sotto dei primi tre. Quindi, se proprio ne vogliamo trovare uno, Houston: QUESTO È IL PROBLEMA. Nulla da eccepire sui live, dove invece si registrano numeri nettamente in crescita e sinceramente strabilianti. Bisognerebbe forse interrogarsi sulla discrepanza tra i due dati, invece che concentrarsi su uno scontro inesistente e su una battaglia mai iniziata. 

Di cosa stiamo parlando? Del nulla, roba che sarebbe stato più utile scrivere un articolo sugli unicorni, sui chupacabra, sugli yeti o sugli elfi… chissà, magari un giorno verrà fuori che qualcuno di questi esseri esiste per davvero, mentre la presunta diatriba tra Ultimo e la stampa… quella no, non è mai esistita. Capisco che alle volte serva trovare un capro espiatorio, una vittima da sacrificare pur di non ammettere una mancata vittoria che, attenzione, non bisogna mai vivere come una sconfitta. Specie nelle dinamiche di questo nuovo Festival restaurato da Amadeus, una rassegna che ha raggiunto livelli impensabili e che, oggi come oggi, non ammette vinti. Insomma, non dico che l’importante sia partecipare, ma quasi.

Spero vivamente che quel dito medio rappresenti l’ultimo atto di un contrasto a senso unico. Noi continueremo a scrivere di Ultimo, è la deontologia che ce lo impone. Testimonieremo la sua ascesa, applaudiremo i suoi risultati e proseguiremo nel definirlo un “fenomeno”, almeno fino a quando i numeri sorreggeranno tale appellativo. Il problema si porrà quando e se i media smetteranno di parlarne, come è accaduto a centinaia di cantanti esplosi per un periodo e poi finiti nell’ombra, per un discorso più che altro ciclico e fisiologico, oltre che per un criterio strettamente legato alla mancanza di creatività. Il tutto sempre abbinato al gradimento e all’interesse da parte del pubblico, perché i giornali vanno venduti e gli articoli sul web vanno cliccati, altrimenti la grande macchina dello showbiz si inceppa e si ferma.

Stima professionale e simpatia personale a parte, per dirla in toni disneyani, si potrebbe affermare che “siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita”. Concludo dicendo che i giornalisti hanno bisogno di storie da raccontare e gli artisti di chi dà voce alle loro gesta. Da sempre è così e mi piace pensare che lo sarà ancora per un bel po’ di tempo.

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