Maninni

La recensione di “Graffi”, il nuovo singolo di Alessio Mininni, in arte Maninni. Uno spaccato di vita che sviscera le dinamiche di una relazione complicata e a tratti ambigua.

La bellezza di una canzone è che ognuno al suo interno può vederci ciò che vuole, persino l’allegoria della società contemporanea. Da quando ne abbiamo memoria, un uomo che soffre per amore è il soggetto ideale delle principali opere musicali. A partire dalla metà del secolo scorso, intere carriere si sono concentrate su questo filone, pensiamo a repertori di Claudio Baglioni, Gigi D’Alessio e potrei continuare all’infinito.

Le pene amorose, dunque, rappresentano da sempre un serbatoio infinito di spunti che sconfinano più o meno nel racconto autobiografico piuttosto che nella retorica. A prescindere dal fatto che una storia sia reale o inventata, ciò che la rende “immedesimabile” è il talento dell’artista, la sua capacità descrittiva e la sua attitudine interpretativa. Maninni riesce nell’intento di condurci all’interno di questa relazione contorta, fatta di equivoci e indecisioni.

La donna a cui si rivolge il giovane cantautore pugliese è tutt’altro che la classica musa ispiratrice, nulla a che vedere con la “Margherita” di Cocciante per intenderci, ma una ragazza come tante, non per questo meno speciale, con i suoi dubbi e le sue fragilità. Nell’era del “lei che bacia lui, che bacia lei, che bacia me”, capita di ritrovarsi intrappolati in una relazione-gomitolo, di quelle difficili da sbrogliare.

Non si può scegliere chi amare ed impostare delle coordinate al proprio cuore: questo è il messaggio che viene fuori tra le righe di “Graffi”, un brano energico e concreto, composto da Maninni insieme ad Antonella Sgobio, Gianni Pollex ed Enrico Brun.

Il risultato è una canzone a strati, di quelle che si lasciano ascoltare inizialmente per la loro orecchiabilità, per poi andare a scavare più in profondità nei meandri del testo. Perché i sentimenti non seguono un modello matematico prestabilito, né delle leggi gravitazionali specifiche. “Non vedo l’ora che torni che torni che torni che torni da me” recita il passaggio principale dell’inciso, come a ribadirci quanto la natura umana stessa sia basata sul principio dell’attesa. Davanti ad un bivio capita di sentirci inermi, incapaci di prendere una decisione a causa dei continui sbalzi emotivi, specie in situazioni inedite che non riusciamo a governare.

In tal senso, “Graffi” rappresenta una gita fuori porta lontano dalle zone di comfort imposte da una società che ci vuole chiusi e prevedibili. Ancora una volta, Maninni non delude le aspettative e ci restituisce una versione alternativa dell’amore, senza bisogno di effettuare alcuna variazione sul tema, restituendo una cornice pop a un’intuizione decisamente d’autore.

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