Tony Hadley

Intervista a Tony Hadley che, cinque anni dopo l’apprezzato “Talking To The Moon“, torna venerdì 12 aprile con il nuovo album “THE MOOD I’M IN“, disco che segna un riavvicinamento significativo alle sue radici musicali. (Qui il link per l’acquisto).

Questo nuovo album, che uscirà su tutte le piattaforme digitali e in vinile di 5 colorazioni diverse, vede Hadley allontanarsi dai precedenti repertori per riabbracciare con passione il genere swing. Con un sapiente mix di reinterpretazioni di classici immortali, Hadley esplora anche le sonorità rock, sorprendendo con una versione unica di “Touch Me” dei Doors e l’inedita “Walk of Shame“.

Tony Hadley

Intervista a Tony Hadley

Com’è nato il tuo amore per lo swing?
E’ nato quand’ero piccolo, i miei genitori Joe e Pat, ascoltavano spesso questo genere musicale, Frank Sinatra, Tony Bennett, Dean Martin, il grande Jack Jones, tutti i grandi classici. Mia mamma l’ascoltava soprattutto preparando il pranzo della domenica e io sapevo che questa musica meravigliosa si sarebbe sparsa per tutta la casa ed è così che ne sono diventato dipendente.

Quali sono le caratteristiche di questo genere che ti piacciono?
E’ melodiosa, a volte è come un inno, poi hai canzoni come “One for my baby”, canzoni sentimentali: qualcuno che ha perso il proprio amore e si ritrova al bar a bere Jack Daniels. Ogni canzone racconta una storia e io amo il modo in cui la melodia fluisce e quando poi arrivano gli ottoni con i loro “bap bap bap”, è strepitoso!

Come hai scelto le canzoni da includere in questo nuovo album?
Non è stato facile, ci sono così tante canzoni che mi piacciono. Per prima cosa volevamo una canzone nuova, quindi “Walk on Shame” che ha questo suono alla Santana, una specie di grande band cubana. Abbiamo poi scelto una cover dei The DoorsTouch Me” e reso ancora più pazza una canzone che già lo era. E poi “That’s Life”, altre grandi canzoni di Sinatra, “One For My Baby”, canzoni sentimentali di Sinatra. C’è anche “The mood I’m In” di Jack Jones che è anche il titolo dell’album. “I wanna be Around” di Tony Bennett. In vinile hai poco spazio, quindi ho cercato di avere una selezione varia per mostrare cosa mi piace e credo di esserci riuscito, ma voglio già fare un altro album!

Come mai hai scelto “Touch Me” per aprire il disco?
Perché è pazza, fragorosa e non è un modo per scusarsi. È “da da da da da”, quasi come il punk, punk swing, è folle, l’adoro!

Fiati e batterie sono il punto di forza di “Walk on shame”. Come hai costruito questo approccio differente nella scelta di questo brano?
L’ho scritta insieme all’amico Mick Lister e volevamo scrivere qualcosa che includesse gli ottoni, ma che riportasse anche un sound cubano, stile Santana. Come testo invece lo definisco “Cheeky”. Sono biricchine ma è una grande canzone, con ottime vibrazioni.

Perché hai scelto d’inserire la canzone “That’s life”?
“That’s life” è una grande canzone di Sinatra, e l’ho cantata per così tanti anni… Il testo è così reale, la vita di tutti è costituita di alti e bassi, dirottamenti. Abbiamo momenti positivi e negativi, ma anche quando sei giù devi rimetterti in piedi e andare avanti con determinazione per quanto possa essere difficile. Ed è per questo che è una canzone che amo particolarmente.

Qual è il significato de brano che da il titolo all’album?
Originariamente era una canzone di Jack Jones, di cui io sono un grande fan. È un brano che parla di essere sentimentalmente liberi, ma che ti fa anche chiedere se mai ti sposerai, ti unirai a qualcuno, ma la risposta varia dall’umore del momento. Dipende dal fatto che arrivi la donna giusta. Negli anni 60 hanno scritto canzoni straordinarie ma a volte con testi controversi e lo adoro.

Secondo te, perché l’Italia ama così tanto te e la tua musica?
Beh, hanno cominciato ad amare gli Spandau Ballet con “I’ll Fly For you”, una canzone che ha realmente creato una connessione con gli italiani. Credo fosse perché è una canzone melodica, una bellissima ballata. Da allora hanno tutti sostenuto sia gli Spandau che Tony Hadley, quindi grazie, grazie davvero.

L’Italia adora la tua musica, i tuoi concerti, ma anche la tua voce, con cui trasmetti amore e buone sensazioni.
Una cosa che ho imparato dalla musica swing è che devi cantare con passione ed emozione, devi trasmettere le parole delle canzoni, anche se è una canzone pop, devi sentirla. Io cerco sempre di esercitare la mia voce, spingendomi anche verso nuove note. Cerco di migliorare anche ora come cantante, e quando sono di fronte ad un pubblico, sono davvero molto felice!

Sei stato ospite al Festival di Sanremo con Arisa e anche Paolo Meneguzzi. Cosa pensi del Festival e della nuova musica italiana?
Sanremo è folle, completamente! Paolo Meneguzzi… ricordo la sua “Grande”. Ma il momento più pazzo fu quando c’erano contemporaneamente i Duran Duran e gli Spandau Ballet. Era pazzesco, gente che gridava di amarti, ti tiravano i capelli, la giacca. Veramente folle! In Italia ho lavorato con Caparezza e lo conosco molto bene, produce musica rap di qualità. Ma ci sono talmente tanti bravi cantanti… Il problema più grande è essere in grado di restare sulla scena abbastanza a lungo. Hai una hit o due, ma devi poi essere in grado di proseguire.

La mia ultima domanda riguarda l’autotune, un argomento molto trattato in Italia. Qual è la tua opinione su questo effetto vocale nella musica contemporanea?
Ci sono situazioni in cui vale la pena utilizzarlo, ma non puoi usare l’autotune su una canzone intera. Solitamente registro il brano 2 o 3 volte e noi poi mescoliamo le voci. A volte è tutta perfetta tranne un verso. Noi cerchiamo di sistemarlo, ove possibile, alla vecchia maniera.

Videointervista a Tony Hadley