La nostra intervista ad Annalisa in occasione dell’uscita del suo ottavo disco “E poi siamo finiti nel vortice”, fuori per Warner Music Italy da venerdì 29 settembre.
A poco più di un anno dall’uscita di “Bellissima”, primo singolo di questo nuovo corso, certificato quattro volte platino, arriva questo nuovo progetto dell’artista savonese, impreziosito dalla presenza della hit “Mon amour” e dall’ultimo estratto radiofonico “Ragazza sola”.
Il risultato è un mosaico di dodici tasselli con una narrazione che, come suggerisce il titolo dell’album, trasporta l’ascoltatore in un uragano di emozioni, tra salite, discese e stati d’animo in netto contrasto. Un progetto che vale la pena approfondire dalla voce della stessa protagonista.

Intervista ad Annalisa
Come stai vivendo questo momento di grande successo costruito e meritato mattoncino dopo mattoncino?
«Sono molto contenta perché, come dici tu, questo successo non è arrivato all’improvviso e non è nemmeno arrivato per caso. Insieme con il mio team abbiamo fatto un passo alla volta, è stato un po’ tutto in divenire, in costruzione. Di sicuro c’è stata un’accelerata dovuta ad un incastro particolarmente a fuoco, dall’uscita di “Bellissima” in avanti abbiamo ingranato un’altra marcia. Sono felice che le tante cose fatte negli anni siano servite, alla fine questo è un mestiere in cui si semina e si raccoglie. Ho sempre considerato il mio percorso una sorta di una lotta con le aspettative, più che altro mie».
È stato processo lento, avvenuto per gradi, ma c’è stato un momento preciso in cui pensi sia avvenuto uno switch?
«A fine agosto del 2021 mi sono ritrovata ad essere veramente contenta di andare in studio, avevo davvero voglia di provare a scrivere e interpretare qualcosa di diverso. L’idea sviluppata con i miei coautori, compagni di viaggio ormai rodati, è stata quella di provare a unire due aspetti che per me sono sempre stati importanti: da un lato la vocalità, il modo di scrivere e la melodia italiana legata alle icone femminili che fanno parte della nostra storia; dall’altro lato il mondo sonoro internazionale, ancora più pop, magari con suoni presi in prestito dagli anni ’80, decennio che amo particolarmente perché mi ricorda la mia infanzia. Ecco, tradizione e qualcosa di nuovo. Così è nata “Bellissima”, da lì una serie di incastri mi hanno portata qui oggi, in questo meraviglioso vortice».
E in questo graduale processo di cambiamento, che ruolo ha avuto il tuo precedente disco “Nuda”?
«Anche quel disco ha richiesto un processo durato anni, in quel caso il lavoro è stato quello di andare a togliere qualsiasi sovrastruttura per cercare di arrivare al pubblico in maniera più onesta possibile. “Nuda” è stato per me un foglio bianco, un traguardo che mi ha permesso di arrivare con grande trasparenza a ciò che sono. A quel punto mi sono sentita di poter costruire qualcosa di nuovo, usando anche l’immagine per dare più valore a una canzone, attraverso foto e video, per rendere visibile quella stessa narrazione».
Un disco senza ballad stupisce e forse un po’ anche spiazza, non credi?
«Quando è uscita “Bellissima” dicevo che volevo far ballare, ma con le lacrime. Nella musica ci vedo un po’ questo effetto terapeutico, compresa anche la dimensione club, che non considero solo utilizzabile per ballare in discoteca, ma che puoi ascoltare anche in cuffia nel letto ripensando a tutti gli errori che hai fatto nella tua vita. Diciamo che molti brani di questo disco hanno una struttura legata al concetto di ballad, anche se ballate pure non sono presenti, forse per la prima volta rispetto al passato».
A proposito di questa scrittura funzionale al suono e anche al tuo modo di interpretare, siete anche andati a cercare cellule ritmiche e melodiche nuove per la musica italiana. Ti è mai sfiorato il pensiero di tradurre queste canzoni in altre lingue per aprirti al mercato internazionale?
«Sì, mi piacerebbe molto. Vorrei sicuramente, forse con queste canzoni c’è una possibilità più concreta di farlo. Infatti, non ti nego che ci sto pensando, perché penso che “Bellissima” in inglese sarebbe una figata, anche “Ragazza sola” ed “Euforia”, ma ad esempio anche “Mon amour” in spagnolo. Insomma, ci sarebbero tante possibilità. Sì, ci ho pensato e ci penso».
Una bella vetrina per il mercato estero può essere l’Eurovision Song Contest e il biglietto di accesso di questo appuntamento passa per il Teatro Ariston. In questo periodo dell’anno la domanda è d’obbligo: come la mettiamo con Sanremo?
«È chiaro che, come credo accada per tutti i miei colleghi, al Festival ci si pensi, perché comunque Sanremo negli ultimi tempi sta diventando sempre più importante. Ogni anno, in questo periodo, secondo me un pensiero bisognerebbe farlo, trovo sia giusto perché rappresenta davvero una grande opportunità. Chiaro che bisogna fare i conti con la canzone, tanto per cominciare, diciamo che è l’aspetto fondamentale. Quindi, se in questi mesi dovesse venire fuori la proposta musicale giusta, perfetta da tutti i punti di vista, magari mi presento. In caso contrario, sarebbe meglio di no».
In primavera ti aspetta il debutto nei palazzetti. Come te lo immagini?
«Sarà per me una grande emozione. Abbiamo già fatto tutti gli arrangiamenti, anche se non sono ancora entrata ufficialmente in sala prove. La fase attuale è quella di costruzione del palco, quindi voglio capire come sarà per costruire la scena. Sicuramente vorrei che fosse qualcosa di indimenticabile, per me lo sarà di sicuro, quindi vorrei che fosse condiviso questo sentimento anche da chi ci sarà sotto il palco. Come detto prima, vorrei che la gente ballasse con le lacrime. L’intenzione è quella di divertire, ma senza mai perdere il filo del racconto».
Seppur sia prematuro parlare di scaletta, hai intenzione di rileggere i precedenti brani del tuo repertorio in questa nuova chiave sonora, un po’ come fece Madonna con il “Confessions Tour” per intenderci, o prevedi anche dei momenti musicalmente diversi nel corso dello spettacolo?
«Di certo presenterò dal vivo tutte le tracce del disco, ma non mancheranno anche le canzoni del passato. Vorrei che tutto fosse congruente, quindi cercherò di dare un’unicità e fil rouge sonoro alle tracce presenti in scaletta. Però, mi piacerebbe anche distinguermi, quindi nella mia testa mi immagino dei momenti speciali, magari legati ad un periodo specifico per ripercorrere alcune tappe del passato».

Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgogliosa di un disco come “E poi siamo finiti nel vortice”?
«L’autoironia e la leggerezza che fanno parte del mio carattere e che sono riuscita a riportare nella mia musica. Sono una persona che tende a sdrammatizzare, a prendersi poco sul serio. Riuscire a trasmettere questo aspetto attraverso la scrittura è qualcosa che ho cercato parecchio. A me piace cantare come parlo, così ho cercato di alzare il tiro e di cantare come penso. Succede in tanti pezzi del disco, come “Bollicine” e “La crisi a Saint Tropez”. Mi piace questo modo di scrivere, è un po’ come un flusso di pensieri, un flusso di coscienza. Sono tutte cose che succedono nella testa e che l’istinto mi porta ad esternare tirando fuori tutta me stessa».
Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte di raccontare. È autore del libro “Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin” (edito D’idee), impreziosito dalla prefazione di Amadeus. Insieme a Marco Rettani ha scritto “Canzoni nel cassetto”, pubblicato da Volo Libero e vincitore del Premio letterario Gianni Ravera 2023.
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